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    A proposito di Collins…

    Un aggiornamento, sulla vicenda di Collins Igbinoba, che con Salvatore Bandinu aveva partecipato al progetto di scrittura in carcere dal quale è nato “La cella di Gaudì”. E’ ancora nel Cie di Bari, Bandinu lo ha sentito poco fa. Gli ha chiesto come si sentisse e gli ha risposto: “tradito, abbandonato e preso in giro”. “Mi ha ripetuto almeno una ventina di volte, scrive Bandinu, che lui avrebbe voluto una piccola opportunità in Italia, che in carcere ha lavorato e si è sempre comportato bene, che sarebbe potuto scappare ma non lo ha fatto. Non capisce come mai prima tutti lo cercassero per portare in giro un progetto mentre adesso che è lui ad avere bisogno, nessuno più si fa sentire. Non ho saputo cosa rispondere. O meglio, lo avrei saputo ma ho preferito omettere. Il CIE di Bari è peggio di un carcere. Siamo entrati nella vita di questi detenuti e in qualche modo ce ne siamo fatti carico… Mi ha ripetuto in continuazione di essere confuso. Anche io lo sono”. Già, perché la vita di Collins, ne “La cella di Gaudì”, è diventata narrazione che si è offerta a tutti noi, e ognuno di noi, leggendola ne prende parte e ne diventa parte. Ed è cosa questa, difficile da buttarsi alle spalle. Come ben spiega Salvatore Bandinu: “Se raccontare una storia significa intersecare solo per un attimo un altra vita, una diversa esistenza rispetto alla nostra, anche se nulla possiamo affinchè il sogno di Collins ( e di migliaia di persone come lui) si avveri, almeno sentiamoci in dovere di rattristarci per una sconfitta che non è solamente la sua. Sarà poco ma se non altro, prima di lavarcene definitivamente le mani, almeno un poco ce le saremo sporcate.. Non si può toccare il dolore altrui e poi dimenticare…. senza esserne contaminati…” . Già, perché forse potremo tranquillamente dimenticare, buttandola via, anche questa storia, come tante altre, facendone un fantasma, magari… ma i fantasmi, in qualche modo, ritornano, magari anche nutriti della forza del racconto al quale li abbiamo consegnati…

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