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    Colonne infami

    Tutto è già stato scritto, mi capita di pensare. Non certo riferendomi al destino… piuttosto a parole e pensieri magari lontani nel tempo, che perfettamente si attagliano a condizioni, e ben cruciali, dell’oggi.
    Ed è cosa che ho ancora pensato leggendo la “Storia della colonna infame”, che Alessandro Manzoni in un primo tempo aveva scritto come parte di un capitolo dei “Promessi sposi”, ma poi diventata testo a sé. La storia del processo che durante l’epidemia di peste del 1630 condannò, a tortura e morte delle più atroci, due persone accusate di essere untori.
    Il titolo, la colonna infame, rimanda alla stele eretta a testimonianza di tanta colpa sulle macerie della casa di uno degli accusati, poi distrutta più di un secolo dopo, quando divenne piuttosto ricordo dell’immane ingiustizia di quel processo.
    Un pamphlet, quello del Manzoni, di lucida e appassionata denuncia, di un processo crudele e ingiusto che si apre con parole “già piene d’una deplorabile certezza, e passate senza correzione dalla bocca del popolo in quella de’ magistrati”.
    Eh già, perché c’era la peste e un colpevole andava trovato, e come non dar seguito agli umori, alle paure, alle impressioni che diventano certezze, della gente…

    E il sospetto e l’esasperazione, quando non sian frenati dalla ragione e dalla carità, hanno la trista virtù di far prendere per colpevoli degli sventurati, sui più vani indizi e sulle più avventate affermazioni. (…) E’ che non cercavano una verità, ma volevano una confessione. Avevan furia… “
    Sotto tortura gli imputati confessano quel che non hanno commesso, e pure accusano altri innocenti…
    “Così lo sciagurato cercava di supplir col numero delle vittime alla mancanza delle prove. (…) Ma coloro che l’avevano interrogato, potevano non accorgersi che quell’aggiungere era una prova in più che non aveva che rispondere? Quelle nuove denunzie in aria, o que’ tentativi di denunzie volevan dire apertamente: voi altri pretendete ch’io vi renda chiaro un fatto; come è possibile se il fatto non è? Ma, in ultimo, quel che vi preme è d’aver delle persone da condannare: persone ve ne do; a voi tocca cavarne quel che vi bisogna. Con qualcheduno vi riuscirà: v’è pur riuscito con me.
    V.S. veda quello che vole che dica, lo dirò…”


    Ho ripreso questi pochi brani, di un testo che pur andrebbe tutto letto e studiato (leggo che è pochissimo conosciuto), ché non posso non pensare all’oggi, pur con tutte le differenze del caso. E riprendo le parole di Leonardo Sciascia che, con la lucidità, la passione e la forza che gli sono proprie, ha scritto una nota a “La colonna infame” pubblicata da Sellerio all’inizio degli anni ‘80. Parole che potrebbero essere state scritte anche per l’oggi. E sono da leggere e rileggere (Sciascia e Manzoni), perché se pure tutto è già stato scritto e detto, ben poco è stato compreso. E quasi nulla si ricorda…

    Tornando ai brani citati sopra.
    Intanto: c’è la peste e un colpevole va trovato… A proposito di problemi da risolvere e colpevoli da trovare, Sciascia ricorda che, fra le varie cose, la peste fu attribuita anche a interessi della Francia, allora nemica della Spagna, dei cui domini lo stato di Milano era parte. “Poiché i cattivi governi, quando si trovano di fronte a situazioni che non sanno o non possono risolvere, e nemmeno si provano ad affrontare, hanno sempre avuto la risorsa del nemico esterno cui far carico di ogni disagio e ogni calamità…”.


    Altri tempi, altre condizioni, altri problemi oggi… ma sostituite alla parola “peste” la parola “crisi” magari economica (o quel che volete) e alla colpevole Francia i contemporanei colpevolissimi migranti, ad esempio, o quelli che volete della folla di piccoli reati che chiamarli “d’allarme sociale” già li gonfia come mostri… Ed ecco quest’Italia di galere strapiene, oggi che il numero degli omicidi è solo l’ombra di quelli di qualche decennio fa. Ma che volete “la gente ha paura”…
    Ancora. Sotto tortura gli imputati “confessano”. Ma per norma che risale al diritto romano, devono confermare la confessione a tortura diciamo finita. E ritorno alle parole del Manzoni che annota:
    “La confessione fatta nella tortura non valeva, se non era ratificata senza tortura, e in altro luogo e non lo stesso giorno… Ritrovati della scienza per rendere, se fosse stato possibile, spontanea una confessione forzata, e sodisfare insieme al buonsenso, il quale diceva troppo chiaro che la parola estorta dal dolore non può meritare fede, e alla legge romana che consacrava la tortura… cosa ben strana in una legge che mantiene comunque la tortura… ma bisogna rammentarsi che quella legge era fatta in origine per gli schiavi, i quali, nell’abiezione e nella perversità del gentilesimo, poterono essere considerati come cose e non persone, e sui quali si credeva quindi lecito qualunque esperimento, a segno che si tormentavano per iscoprire i delitti degli altri. De’ nuovi interessi di nuovi legislatori, la fecero poi applicare anche alle persone libere; e la forza dell’autorità la fece durar tanti secoli più del gentilesimo: esempio non raro, ma notabile, di quanto una legge, avviata che sia, possa estendersi al di là del suo principio e sopravvivervi”.

    E due frasi qui dovremmo stamparcele bene in testa: l’applicazione anche a persone libere di trattamenti pensati per chi libero non era. Dal dentro al fuori… come non pensare a quel grande laboratorio che sono le nostre carceri, dove ogni giorno si sperimenta la sospensione dei diritti, e quante sospensioni, che diventano soppressioni, già vediamo affacciarsi oltre le mura delle prigioni… Pensate anche solo alla “freschissima norma” che trasforma in reato per i detenuti anche la resistenza passiva, la non violenta manifestazione del dissenso. E quanta visibilissima traccia già c’è di questo nel mondo di noi “liberi”…

    Ancora. Anche allora in quel tremendo processo del 1630, i giudici pensarono, per sollecitare confessioni e denunce che nonostante le torture tardavano ad arrivare (e c’era fretta, e c’era “furia”), alla promessa di quasi impunità. E qui vi lascio alle parole di Sciascia, che meglio non si potrebbe:
    “E per finire nella più bruciante attualità- di fronte alle leggi sul terrorismo e alla semi-impunità che promettono ai terroristi che impropriamente definiscono pentiti- si rileggano le considerazioni che il Manzoni muove riguardo alla promessa di impunità del Piazza: -Ma la passione è pur troppo abile e coragiosa a trovar nuove strade. Avevan cominciato con la tortura dello spasimo, ricominciarono con una tortura d’un altro genere…- ed era quella dell’impunità promessa, che più della tortura poté convincere il Piazza ad accusare falsamente, ad associare altri, come lui innocenti, al suo atroce destino”.
    Continuava Alessandro Manzoni, con il suo scritto, la battaglia intrapresa da Pietro Verri in difesa dei diritti, di una giustizia che non fosse arbitrio…

    Una battaglia, conclude Sciascia la sua nota a “La colonna infame” …“che ancora oggi va combattuta: contro uomini come quelli, contro istituzioni come quelle. Poiché il passato, il suo errore, il suo male, non è mai passato: e dobbiamo continuamente viverlo e giudicarlo nel presente, se vogliamo davvero essere storicisti. Il passato che non c’è più- l’istituto della tortura abolito, il fascismo come leggera febbre di vaccinazione- s’appartiene a uno storicismo di profonda malafede, se non di profonda stupidità. La tortura c’è ancora e il fascismo c’è sempre”. Pensieri da tenere bene a mente, guardando all’oggi…

    Una nota. Ho conosciuto il testo de “La colonna infame”, grazie a un’interessante collana dell’editore Rubettino. “L’isola di Jura- Storie di dissidenti”, diretta da Andrea Frangioni, che è storico, e ha avuto la bellissima idea di questo progetto che si propone, spiega, di far conoscere storie e pensiero di dissidenti politici e religiosi dei nostri tempi. Ogni saggio è accompagnato da un “classico” della riflessione sui diritti umani, dignità dell’uomo e democrazia.
    Jura è l’isola scozzese dove George Orwell scrisse “1984”, romanzo distopico, come si dice, alla cui dimensione sembra ci stiamo precipitosamente avvicinando.
    Guardandoci dentro… guardandoci intorno… guardando ai regimi che avanzano…


    scritto per Voci di dentro

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