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    Gli occhi di Joe

    Gli occhi, mi disse un giorno qualcuno, è l’unica parte del corpo umano che rimane sempre riconoscibile. Ed è proprio così, viene da pensare, guardando la sequenza delle foto che ritraggono il volto di Joseph Ligon, tutte scattate in un carcere. Gli occhi di quando aveva 20 anni. E poi 30. E poi 48, e poi, e poi… Fino all’immagine che lo ritrae oggi, a 83 anni, appena uscito dal carcere della Pennsylvania, che lo ha tenuto prigioniero da quando ne aveva 15. 68 (sessantotto) anni di prigionia.

    Gli occhi di Joe, così anche lo chiamano, in ogni scatto raccontano la tremenda ingiustizia che gli ha rubato la vita. L’ingiustizia di un ambiente emarginato e difficile nel quale è cresciuto. L’ingiustizia ancora più grande e grave di due condanne all’ergastolo per due omicidi di cui si dichiara innocente. L’enormità dell’ingiustizia di una condanna che solo oggi viene dichiarata incostituzionale perché comminata a un minorenne. L’ergastolo, condanna enorme, smisurata, penso, per chiunque, ma non c’è aggettivo per definirla se concepita addirittura per un ragazzino…
    Più conosco il carcere e le sue storie, più dubito della tanto (auto)proclamata “civiltà” degli “occidenti”. Giusto ieri leggevo della morte per iniezione letale di Lisa Montgomery in un carcere dell’Indiana, dopo una vita che si fa fatica a raccontare, ma che, se volete, ben spiega l’articolo di Sefora Spinzo nel numero di questo mese di “Voci di dentro”, a cominciare dal titolo: Lisa Montgomery è stata stuprata, e noi siamo il veleno che l’ha uccisa https://www.facebook.com/messenger_media/?thread_id=1430875948&attachment_id=263881165097782&message_id=mid.%24cAABa9EY824N97DirRV3uvNiGHix2 (bel numero quest’ultimo di Voci di dentro, corposo e tremendo, pieno di cose da imparare sulla (in)civiltà del nostro occidente e di quello al di là dell’Oceano).
    Ancora gli occhi di Joe. Guardateli. Non esprimono mai rabbia e neppure paura. Appena un momento di stupore, forse, ma poi subito induriti come nella corazza delle sue certezze: la sua innocenza e il suo diritto alla libertà.
    Tanto convinto, e fedele a se stesso, che quando alcuni anni fa gli sarebbe stata riconosciuta la libertà, ma condizionata a vita, ha detto “no”. Due opportunità aveva avuto per uscire. E sempre le ha respinte. Perché non era, quella che gli offrivano, libertà piena.
    E che libertà sarebbe stata non essere ad esempio libero di allontanarsi da quello stato, la Pennsylvania, dove suo fratello e suo padre nel frattempo erano stati uccisi. Un paese che “ha portato molto crimine nella mia famiglia”, e dove non voleva vivere.
    La vera libertà è potere tutto su se stessi, aveva scritto Montaigne. Non so se Joe l’avesse letto, ma certo è verità ben radicata nel profondo della sua anima.
    Gli occhi di Joe. Più li guardo, più penso agli occhi di Mario Trudu, l’eterno ergastolano che nel carcere è invecchiato e che il carcere di malamorte un anno e mezzo fa si è portato via. Mario, l’ho frequentato nel tempo abbastanza per vedere il suo viso a poco a poco cambiare. Ma il suo sguardo… i suoi occhi erano sempre gli stessi, sempre aperti sul tempo che quella eterna prigionia aveva ingoiato. “Sono sequestrato in mano a questo mostro disumano – diceva- da quasi quarant’anni. Vi lascio immaginare… dove vi trovavate quarant’anni fa? Cosa facevate? Solo tornando indietro con la mente potete riuscire a capire quanto sono lunghi quarant’anni”.
    Sono abbastanza in età da poter tornare indietro con la mente di 40 anni, e arrivo a capire l’insensatezza dei tempi (e dei modi) di tante pene. Anche perché ho capito che c’è un momento, nel tempo dell’esecuzione della pena, in cui si è convinti, e comprensibilmente, di averlo pagato il proprio debito con lo Stato (quello con le vittime è tutt’altra storia). Ma i 68 anni di carcere di un ragazzino sono un baratro che non si riesce neanche a immaginare. L’assurda pretesa di “sorvegliare”, “forgiare e punire”…
    Gli occhi di Joe. Sono ancora gli stessi, nella foto di oggi, a 83 anni, all’alba di una possibile nuova vita. Solo addolciti da una smorfia di tenerezza che gli si disegna sul volto, adesso che dice che vuole viverla tutta e piena, la vita che ha ripreso in mano. E lo penso possibile se, leggo, c’è qualcuno che lo sta accompagnando. E glielo auguro, e glielo auguriamo davvero. Anche se quegli occhi… aperti ora su strade affollate di grattacieli alti alti che mai aveva visto, dove non c’è più nessuno che conosca e riconosca… raccontano, indimenticabili, da far abbassare i nostri, l’inaccettabile ferocia della nostra pretesa “giustizia”.


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