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    La storia nascosta -3

    “….  e andò avanti per circa tre ore; dopo qualche ora iniziai a non prestare più attenzione ma non glielo feci notare, sia per educazione, sia perché avevo visto nei suoi occhi una luce di liberazione… La mia impressione fu che ricordi troppo tempo repressi in angoli remoti dell’animo, uscivano fuori come se avessero tolto il tappo, tempi felici che iniziarono a sgorgare come in una sorgente. Gli raccomandava sempre che quando rientrava dalla campagna la sera, se avesse sentito rumore dietro un cespuglio, doveva fermare l’asino e alzare le mani gridando ad alta voce nome e cognome. Erano tempi brutti all’epoca, lo sconvolgimento portato dalla crudele occupazione aveva  trasformato il Meridione da isola felice a un luogo tipo colonia africana, dove i militari e le milizie avevano il potere assoluto e lo usavano con massima discrezionalità sulla gente. Per ogni sospetto si era incarcerati e fucilati. La vita non aveva valore, tutto legale ai sensi dell’infame legge Pica, la madre di tutte le leggi repressive, che con terminologie diverse e gli standard della nostra epoca è ancora in vigore. Oggi si chiamano “emergenze”, un tempo erano chiamati “stati d’assedio”. Una sera gli capitò un episodio e lui si comportò come gli aveva insegnato suo nonno. Una voce alterata gli disse di ritornare a casa e di non dire niente. Il giorno dopo in quel luogo trovarono due persone uccise a fucilate. Andò subito da suo nonno, era preoccupato  perché (…) aveva riconosciuto la persona nonostante avesse camuffato la voce. Suo nonno lo rassicurò e lo esortò a non dire nulla a nessuno. Credo che dopo circa settant’anni fosse la prima volta che lo raccontava, forse perché ero suo nipote prediletto, come lui lo era stato di suo nonno. I tempi, i luoghi e le persone che ci hanno trasmesso gioia, rimarranno sempre presenti nei nostri cuori, come se quei momenti si fossero fermati nel nostro animo. Qualunque cosa inneschi i neuroni della memoria, le emozioni iniziano a zampillare.

    Un altro episodio dei suoi racconti che ricordo, narrava di una notte che il mio trisavolo sentì rumore nell’aia della casa, uscì con il fucile e sorprese un uomo che si nascondeva nella stalla. Lo bloccò tenendolo sotto tiro, gli chiese chi fosse e cosa ci facesse nella sua casa. L’uomo rispose che non era lì per rubare, cercava un riparo e qualcosa da mangiare. Suo nonno capì che era un  fuggiasco, essendolo anche lui aveva visto segni che gli erano familiari. Lo fece entrare in casa, lo rifocillò di tutto. L’uomo gli raccontò che era evaso dal carcere e stava cercando di arriva ad Ascea, un paese del Cilento, per unirsi ai suoi uomini. Era a capo di una banda di briganti. L’indomani lo equipaggiò per il viaggio e si salutarono; per sdebitarsi l’uomo lo invitò ad andare a trovarlo e gli diede tutte le indicazioni per arrivare al suo rifugio. Dopo alcuni mesi andò a trovarlo e ricevette una festosa accoglienza, rimase in loro compagnia per tre giorni, vivevano in una grossa caverna, erano una quarantina ed erano ben organizzati, non gli mancava niente.Ritornò con molti doni caricati su due asini, un fucile nuovo e un bel gruzzolo di soldi. Mentre me lo raccontava leggevo nei suoi occhi tanta ammirazione, un orgoglio da troppo tempo represso a cui stava dando libero sfogo.

    La storia è strana, i vincitori diventano degli eroi, anche s criminali, chi perde viene mostrificato. I partigiani della seconda guerra mondiale che avevano lottato contro l’occupazione nazista, sono ritenuti ancora oggi degli eroi, i Meridionali che lottarono contro l’occupazione piemontese, avendo perso, i vincitori li hanno demonizzati, con la complicità di pennivendoli salariati. Purtroppo la storia la scrivono i vincitori. In tutto il mondo le nazioni hanno fatto i conti con le loro vergogne chiedendo perdono: negli USA con gli Indiani, in Australia con gli Aborigeni, in Canada con i Nativi e in Sud America con gli Indios. Solo in Italia non si è fatto niente. E’ ancora tabù.

    Qualche settimana dopo chiesi al nonno di raccontarmi qualcosa sul suo capostipite, mi fece capire che non voleva e cambiò discorso. Capì che l’avevo trovato in uno “stato di grazia”, avevo aperto un varco e si era lasciato andare. Ora aveva di nuovo chiuso la porta e non l’aprì mai più. Dopo alcuni mesi fui arrestato, mi raccontarono che il giorno dopo la sentenza che mi condannava all’ergastolo, apprese la notizia mentre era al bar, uscendo inciampò e si ruppe un femore. Aveva circa novant’anni. Non era mai stato in ospedale o chiuso in casa più di qualche giorno. Dopo qualche anno a letto perché l’osso non si calcificava, sopravvenne la demenza senile e nel giro di sei mesi morì. Dopo la nonna, il carcere mi aveva impedito di partecipare anche ai funerali del nonno. Rimarranno sempre nel mio cuore e spero di trasmetterne il ricordo ai miei nipoti.

    Dei fratelli del nonno rimangono in vita l’ultimo dei miei fratelli, zio Carmine, dovrebbe avere circa cent’anni, e due sorelle che hanno superato ampiamente il secolo di vita. Nel Cilento non è una novità, lì è nata la dieta mediterranea e produce molti centenari. Questo desiderio di sapere sul capostipite della famiglia, nel tempo mi ha fatto leggere tutto quello che mi capitava sotto mano sui briganti, anche se i libri li relegavano sempre come banditi. Un paio di decenni dopo, mentr emi trovavo nel carcere di Parma, e le istituzioni locali mi facevano sentire un cittadino, iniziai a riflettere sulla mia situazione, e ciò mi portò a pormi molte domande…. (3-continua)

    Pasquale de feo

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