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    L’epopea di una pena. L’Asinara fra diritto e poesia

    “Rientrato all’Asinara, mi misero a lavorare nell’orto di ‘Soffia’, che fiancheggiava l’agglomerato di case nell’abitato di Trabuccato, ed essendo solo, immerso nella mia solitudine, come sempre mi estraniavo vagando con la mente, sempre in cerca di qualcosa di irreale che mi facesse volare sulle ali della mia desiderata libertà. Un sera mentre me ne stavo sdraiato sotto un albero a occhi chiusi, mi ritrovai davanti al Tempio di Febo (Apollo), a poca distanza dalle mura di Troia. Lì Ettore…

    Ed eravamo tutti lì pronti a sbarcare sull’isola dove “La mia Iliade” è nata (ve ne ho parlato https://www.remocontro.it/2020/06/28/liliade-di-mario-trudu-fra-eroi-e-battaglie-una-vita-che-non-conosce-resa/ ), ma non poteva che essere di pianto il cielo… a quasi un anno dalla morte, cattiva e ingiusta, di Mario Trudu, che l’Iliade conosceva a memoria e che, nel suo racconto, diventa anche l’epopea della sua pena…
    Così il primo sabato d’ottobre si è svolto a riva, nel Museo della Tonnara di Stintino, l’incontro voluto dalla Camera penale di Oristano “Asinara: l’isola liberata – tra memoria e speranza”, dove si è parlato di ergastolo (quello eterno), di diritto, di giustizia e carcere… dove l’intero pomeriggio è stato dedicato al libro dell’eterno ergastolano Mario Trudu, “La mia Iliade”, appunto.
    Ma l’Asinara, con le sue pietre aspre e le trasparenze di luce del suo mare, che fa ancora più stridente il pensiero del terribile passato di isola-prigione, è rimasta sullo sfondo dei pensieri di tutti. Incantevole e tremenda. Perché, se pure il carcere costruito sull’isola è stato dismesso alla fine del secolo scorso, se pure l’intera isola oggi è parco nazionale, è impossibile dimenticare il regime di tortura (sì è la parola giusta) che vi ha imperato. L’Alcatraz italiana, è stata chiamata. La Cayenna, la chiama nel suo libro Pasquale de Feo che ne ha avuta esperienza negli anni peggiori… dove (come a Pianosa) negli anni ’90 persone appartenenti, o presunte tali, ad associazioni di stampo mafioso presero, dopo un breve intermezzo, il posto lasciato da persone che avevano partecipato a bande del nostro terrorismo per le quali quelle specialissime carceri furono costruite.
    Regime duro. 41bis, vera tortura. E poco rasserena che pure all’Asinara, per motivi di sicurezza personale, trascorsero un breve periodo Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (ma lo sapevate che dovettero pagare allo Stato le spese per il soggiorno nella foresteria dove stettero?!?). Il giudice Falcone che pure la norma che prevede il 41bis aveva scritto. Ma un 41bis che, nella sua stesura, ha spiegato il professor Galliani nel corso dell’incontro, “stava nella Costituzione”. Cosa che non si può certo dire per quello che nella pratica è diventato…
    L’incontro… Ha ragione Monica Murru, che di Mario Trudu è stata avvocato, e questo evento ha ideato e fortemente voluto insieme a Rosaria Manconi, che della camera Penale di Oristano è presidente, quando commenta: “Relatori d’eccezione e artisti straordinari hanno preso parte a qualcosa di unico, dando vita ad un confronto giuridico in cui il diritto si è fatto emozione”. Confermo, il diritto si è fatto emozione…
    Ho ascoltato di storie, di percorsi, di sconfitte, di solitudini. Eppure si era tutti lì, parole di Maria Brucale, “a condividere un sogno di vera liberazione da una violenza concettuale che si traduce in un modello sociale distruttivo che relega il carcere a luogo di afflizione, mai di opportunità di rinascita”. Con uno sguardo alla prossima pronuncia della Corte Costituzionale che di fatto potrà mettere la parola fine all’ergastolo ostativo (quella mostruosità che esclude da qualsiasi beneficio l’ergastolano che non sia stato collaboratore di giustizia…)
    Il diritto si è fatto emozione… soprattutto quando, nel pomeriggio, è stato come sederci anche noi fra i prati e le rocce dell’Asinara, dove Mario Trudu ha ambientato i passaggi più belli della sua Iliade…
    “Ettore si congedò da me, dicendomi che sarebbe andato, prima del duello, a incontrare la moglie Andromaca, e a rivedere forse per l’ultima volta suo figlio Astianatedhu. Lo vidi allontanarsi a grandi passi, e rimasi a fissare le sue possenti spalle e lo splendore della sua armatura, finché non scomparve completamente dalla mia vista come nebbia al sole. Tornato in me, voltando lo sguardo nuovamente verso la piana di Cala Reale, mi accorsi che q2uelle che fino a poco prima erano le tende dell’accampamento dell’esercito dardano non erano altro che una mandria di vacche di Trabuccato al pascolo. Credo che un giorno rincontrerò Ettore e mi racconterà come è andato il duello con il forte Aiace…”
    E che dire, la commozione è stata tanta quando Giovanni Carroni, attore e traduttore in lingua sarda della potente riscrittura del Macbeth di Alessandro Serra, Mecbettu… (uno degli spettacoli teatrali più premiati e acclamati delle ultime stagioni), ha rappresentato alcune parti dell’epopea di Mario in chiave teatrale, accompagnato dal Coro polifonico di Nuoro diretto da Franca Floris e da un gruppo di giovani musicisti del Conservatorio di Sassari.
    E si sarà commosso anche Mario (che sicuramente ha ancora una volta attraversato le barriere dello spazio e del tempo per essere lì tra noi) quando il coro ha intonato s’attittu, il lamento funebre delle attittadoras, le donne che accompagnano il pianto di ritmi antichi, che nella sua Iliade sono Andromaca, Elena, ed Ecuba …

    “Ooh, figlio del mio cuore anima mia / ecco hai portato a termine il tuo lavoro…”

    “Oh, Ettore quanto mi piange il cuore…”

    “Figlio mio, la stella più brillante di tutto il parentado…”

    Ettore. Come sottolinea lo scrittore Natalino Piras, è l’eroe con cui Mario Trudu si identifica. Alla fine sconfitto, ma forse è l’eroe dell’Iliade che tutti abbiamo più amato, perché indimenticabile la figura di guerriero che il destino vuole combatta e uccida, ma che mai ci fa dimenticare la sua immensa umanità. Quella che il nostro sistema giudiziario e la nostra incivile civiltà neppure in minima parte ha saputo avere per Mario, che il suo conto con la giustizia sentiva di averlo pur pagato. Ma venti, trenta, quarant’anni, un’intera vita… evidentemente non bastano a uno stato che ha dimenticato che la giustizia non è vendetta…

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