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    Non è sogno

    NONèSOGNO-_3-768x432“Perché faccio così schifo, perché dobbiamo essere così diversi da come ci crediamo?”.
    “Eh… figlio mio… Noi siamo in un sogno dentro un sogno…”
    Otello e Jago, impersonati da Ninetto Davoli e Totò, marionette dai volti dipinti di nero e di verde sul palcoscenico di “Che cosa sono le nuvole”, di Pasolini… virano nei volti di Antonio, Rocco, Visar, Salvatore, Osema, Kamal, Alfredo, Hichem… con tutti i colori e gli accenti del sud, il sud del mondo, tanto che quando a parlare è Maurizio, con il suo incedere toscano, pensi quasi a un errore di scrittura, come il professor Giuseppe Ferraro, che in carcere insegna filosofia, definisce i nostri errori. E solo se hai almeno una sola volta messo piede in un carcere capisci subito in quale mondo sei entrato, perché sai che il carcere, ad ogni latitudine, parla con tutti gli accenti del sud… Un mondo dove si cerca la vita nel sogno e “l’uomo che vive sogna fino a farsi ridestare”, proprio come spiega il principe Sigismondo, nel capolavoro di Calderon de la Barca, “La vita è sogno”, che tutto gira intorno al conflitto fra la libertà e il destino, ma anche fra la verità e l’apparenza, fra la vita e il sogno, dove questo può essere anche menzogna indotta…
    Ho trovato bellissimo questo film nato nel laboratorio teatrale Nuvole, del carcere di Capanne, a Perugia. Costruito intorno alle prove, fatte da un gruppo di persone detenute, di alcuni dialoghi del film di Pasolini e di alcuni brani del drammaturgo spagnolo. Il titolo subito ribalta tutto e t’inchioda: “Non è sogno”.
    E ancora mi ha stupito, Giovanni Cioni, anche se già avevo conosciuto il linguaggio del suo fare cinema, decisamente fuori dai canoni dell’ordinario, che sempre mescola realtà e finzione, creando orizzonti che spiazzano. Sempre alla ricerca dell’uomo, e di ciò che ci fa umani…
    “Io sono assassino… io sono assassino… e chi se lo credeva? Io so’ l’assassino… mannaggia… ma perché devo crede alle cose che me dice Jago? Perché so’ così stupido?
    I volti dei protagonisti sono in primo piano, in un unico spazio sullo sfondo verde di un chroma-key. Volti dentro la scatola del film, che per un attimo pensi sia prigione anch’esso, e un attimo dopo pensi sia la porta che apre a un possibile sogno di vita…
    “Ma qual è la verità? È quello che penso io de me? O quello che pensa la gente, o quello che pensa quello là lì dentro?
    Le prove si ripetono, si sovrappongono… cambiano le voci, i ritmi… “Cosa senti dentro di te? Concentrati bene, cosa senti?”, “Sì sì, sì, sento qualcosa che c’è…”, “Quella è la verità, ma… shhh… non bisogna nominarla, perché appena la nomini, non c’è più”.
    E, magia del cinema… questo continuo provare, correggere, ripetere battute e versi che sono brani di filosofia, che scavano nella vita di tutti, a poco a poco diventano la narrazione della vita vera di ciascuno, e quasi non ti accorgi di quando il racconto è scivolato dalla interpretazione dei testi proposti alla recitazione della propria vita, che non è sogno, ma è parola in cui ciascuno consegna la propria verità. E quale verità, e quali vite…
    Storie di vite anche terribili, come se ne possono incontrare in un carcere.
    “Non so com’è la vita fuori, sono entrato giovanissimo…”… “io facevo il rapinatore, senza mai essere entrato in una banca armato… le pistole… roba da film western… io scavalcavo il bancone …”… “comm’è brutto addormì sule…senza mai nisciun”… “tu m’e’ ricere con chi si state”… “Io mi sono anche impiccato. L’ho fatto per attirare l’attenzione, la prima volta. Ma l’ultima volta no” … “io fra un po’ esco, vado fuori nel mondo… pieno di sciacalli, di delinquenti… devo iniziare tutto daccapo…”
    Qualche cenno, perplesso, a un destino che puoi anche modificare. Ma soprattutto, molti raccontano dei sogni, non quelli che si dice “sono desideri”, ma gli incubi della notte. Confidano di cavalli bianchi cavalcati da cavalieri feroci, di bambini morti e teste insanguinate, di castelli-città abbandonate, con porte che non si aprono e direttori che hanno perso la chiave, di una tavola pronta per un pranzo insieme…
    Si percepisce, in questi racconti di sogni, l’eco del lamento del principe Sigismondo… “Io sogno la prigionia che mi tiene qui legato e sognai che un altro stato mi rendeva l’allegria”.
    Come è stato possibile, ti chiedi, questa trasmutazione, questo passaggio dalla recitazione all’affidare il proprio sé… in maniera così vera, così profonda che riesci a vederle, tutte, le immagini di quelle vite raccontate o sognate, anche se sullo schermo passano solo volti. Perché “Non è sogno” è un film fatto quasi solo di volti, come potesse bastare filmare la parola per raccontare l’anima.
    Beh, Giovanni Cioni ci riesce…
    E’ stato possibile, spiega il regista, nello spazio di gioco che è stato costruito “come intorno a un tavolo per il gioco delle carte, e intanto costruisci la conoscenza…in un film vissuto tutti insieme”.
    Solo, a tratti, compare qualche sprazzo dello spazio esterno. Poche immagini: un corridoio, una finestra, le foto alle pareti di una cella. Poi la campagna fuori le mura del carcere e un campo con i cavalli… che sono il sogno della vita perduta di Domenico.
    Domenico alle cui spalle a un tratto (magia del chroma-key) compare un cielo azzurro pieno di nuvolette bianche, e che, rivedendo poi quella scena, si è stupito e commosso nel vedersi sullo sfondo di quell’azzurro, lui che da anni non può avere come sfondo il cielo…
    Nel film che è dentro questo film mi sono sembrati scivolare dentro, insieme al dolente senso della vita di Calderon de la Barca, anche tutta la terribile dolcezza e l’incanto della sorpresa delle nuvole di Pasolini.
    “Non è sogno” (ha già ricevuto riconoscimenti in Italia e all’estero e se ne volete un assaggio, il trailer https://vimeo.com/353786278), ovvero, come trasformare in un racconto sorprendente questo errore di scrittura che credo sia il carcere tutto…

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