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    Per un amico in concerto…

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    Gabin Dabiré, in concerto il primo agosto. “Notte Africana”, presso la Darsena Azzurra di Fiumaretta di Ameglia (Genova).

    “Il nuovo amico veniva da un paese dell’Africa occidentale. Alle percussioni era un mago. Ma non solo. Un poeta, direi.Continua a suonare. Ho sempre i suoi dischi. Anche qualche vecchia cassetta. Questa è una delle prime registrazioni. Il nastro è molto rovinato. Ma si può provare ad ascoltarlo. Potrebbe rompersi. Speriamo non succeda. Ecco… Il suono è opaco. In questo punto diventa troppo flebile. Si allontana. Peccato, il nastro è davvero troppo vecchio. Ma ancora si percepisce il pulsare della voce del suo paese. Immensa. Profonda. Magica. In questo punto… un timbro arcano… dà quasi una sensazione d’umore caldo… Si avverte ancora? Sì. E’ odore di terra. Respiro d’animali e di dèi d’acqua. Se chiudo gli occhi li vedo. Animali e dèi.  Questo suono. E’ un tamburo parlante. Dicono abbia poteri magici. Dum… dum… dummm...

    Un’antica fiaba armena

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    Un viaggio

    nelle regioni del Caucaso, con una fiaba che appartiene alla tradizione del popolo Armeno… una tradizione lontana, di quando la casa degli Armeni  si estendeva in un ampio territorio fra l’Eufrate e il Caucaso… prima, molto prima che, per le travagliate e dolorose vicende politiche culminate con il genocidio del 1915, la sua gente si andasse disperdendo in ogni angolo del mondo… “Il saggio tessitore”, dalla raccolta di fiabe armene di Sonya Orfalian. una fiaba di quelle che raccontavano gli ashug, i trovatori armeni, fatta di musiche, silenzi e parole di verità… tessuta della saggezza di antichi nobili mestieri, che c’erano una volta e da andare a scovare, da qualche parte, ancora adesso…C’era una volta un re. Che un giorno ricevette la visita di un messaggero di un paese lontano. Questi, appena giunto, tracciò un cerchio per terra  intorno  al trono. Il re mandò a chiamare i ministri e i saggi del regno perché gli spiegassero il significato di quel segno, ma nessuno seppe rispondere. Allora ordinò:– Portatemi una persona capace di capire questo disegno, o farò tagliare la testa a tutti! —Gli uomini del re cercarono, cercarono per tutto il paese, finché capitarono in una casa. Sembrava deserta, ma in una culla, che dondolava da sola, videro un bambino addormentato. Anche nella camera accanto dondolava dolcemente una culla …… Sentite, anche voi, questa ninna nanna? È un antico canto armeno ….

    22 luglio

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    “Non farò più niente per limitare o fare più grande la tua vita”. E’ tutto. Da un altro 22 luglio, ma era un sabato. Dagli appunti di Marguerite Duras. Dialoghi accennati. Impressioni. Cenni folgoranti. Dedicati al suo giovane amante. Qualche mese prima di morire. “C’est tout” .

    Non si ferma questo treno…

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    La nostra vita… ogni giorno una corsa… E così il nostro tempo rotola, rotola senza sosta, come su un treno lanciato a tutta velocità. Ma qualcosa, qualcuno a volte c’invita a fermarci… e così ha fatto Cleonice Parisi, favolista spirituale, con il suo racconto “Non si ferma questo treno". Una favola per riflettere un po’ su noi e sulla nostra vita, che va avanti, va avanti senza sosta… E questo è un invito a raccogliere il suo invito, con questo racconto che parla in favolese, come sa fare la mente che dell’anima ha visitato il paese…  "Correva correva il treno lungo i suoi binari…,ma a un tratto cominciò a camminare come se avesse il freno tirato, dopo un po’ il motore andò sotto sforzo e ci fu un forte botto.“Cosa succede!” disse il macchinista. “Che storia è questa, chi ha tirato il freno…!?  non può fermarsi questo treno!” Il macchinista era fuori di sé dalla rabbia, scese dalla locomotiva con passo deciso, e prese a perlustrare prima le rotaie, e poi le ruote… ed ecco, infine capì cosa aveva fermato la corsa del suo treno: del fieno ...

    Impossibili nostalghie

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    Cercando sonorità che evochino la Grecia. E ritrovando i passi di sirtaki di Zorba il greco. E il danzare assoluto di Anthony Quinn. A un tempo corposo e aereo. Corpo e cielo, sullo sfondo di una spiaggia secca di pietre. Umida di vento e onde. Dal sapore di terra e sale. Passi, che sfiorano il suolo, accarezzano il vento. E si intrecciano. Lenti. Ancora lenti. Poi prendono ritmo e sembrano inseguirsi senza mai più toccare terra. E il bianco e il nero della pellicola del passato vira nell’azzurro e nel bianco della luce del mare. E quando il ritmo cresce, cresce, cresce fino all’impossibile, Zorba è solo quella danza, e l’aria e il mare.  Appassionato e appassionante, come sa esserlo un uomo che danza la vita.

    Migrazioni

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    Ancora, parlando di migrazioni. E pensando a migranti della nostra storia. Dal passato nostro vicino, i versi di Benvenuto Lobina, poeta, scrittore sardo. Ancora bruciano.

    “Quando/ potrò rivedere gli occhi tuoi, / il fiume andando dove non sapevo,/ la luna ferma davanti alla finestra/ e i mandorli in fiore del mio paese?/ La gente pigra del mio paese,/ la gente laboriosa del mio paese/ ed il treno…/// O maledetto treno del mio paese, / quanta gente hai portato via,/ quante lagrime hai strappato/ correndo dietro al fiume./ Gente disperata,/ gente che per partire lasciava/ la zappa conficcata in una zolla,/ la roncola in un macchione,/ le carte buttatesul tavolo,/ il mezzolitro vuoto,/ i debiti senza pagare/ e le donne in un canto/ piangendo giorno e notte davanti al fuoco./// “Due giovani di Villanova Tulo/ morti in una miniera di carbone“. / Come potrò mai ritornare/ con questo giornale in tasca,/ come potrò sentire/ gente che ride, gente che canta,/ e vedere altri giovani, e vedere/ il fiume andare lento lento/ e i mandorli in fiore del mio paese?/// “I mandorli in fiore del nostro paese/ pieni di polvere di carbone./ Come pesa questo carbone/ ammucchiato sui nostri petti./ Come era basso quel cielo,/ quel cielo di carbone nero/ che ci è crollato addosso…

    Clandestini…

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    Leggendo. E rileggendo delle norme del “pacchetto sicurezza”. Quasi a convincersi che, sì, è proprio vero.  E chiedendosi, guardandosi intorno, quanti clandestini ha già fabbricato questa legge. Quanti infiniti ne fabbricherà. La risposta è che già sono molti, molti di più di quanto sia possibile calcolare e ipotizzare. Perché il conto non finisce con tutti gli stranieri che questi tempi bui additano come “nemici”. Già, perché qualcuno, fra chi ci governa, ha detto: “Queste norme sono state chieste dal popolo italiano”. E tutti quelli che, pur anagraficamente parte del popolo italiano, queste norme proprio non le avrebbero volute, e non le vogliono? Domanda legittima. In quanti siamo diventati clandestini, dopo le norme del “pacchetto sicurezza”? Dopo, soprattutto, questa frase, che espropria tanta parte del popolo italiano, della legittima appartenenza al popolo italiano. Le parole… andrebbero usate con maggiore cautela, le parole…

    Due appunti e una domanda

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    09 luglio 2009. Ruba un pacco di wafer del prezzo di un euro e 29 centesimi in un discount e viene condannato a tre anni di reclusione. L’uomo, 40 anni, non ha potuto beneficiare dell’attenuante del danno lieve per gli effetti della legge Cirielli ( fra l’altro “giro di vite” per i recidivi). “Invitato a consegnare la refurtiva tentò di divincolarsi, ma fu presto immobilizzato e consegnato ai carabinieri”. “Mi vergogno, avevo fame…” la giustificazione… Ma in passato  aveva già avuto condanne per piccoli furti. Niente attenuanti dunque.

    06 luglio 2009.  Il tribunale di Ferrara ha condannato a tre anni e sei mesi i quattro poliziotti accusati di eccesso colposo nell’omicidio colposo di Federico Aldrovandi. Il giovane, di 18 anni, morì il 25 settembre 2005 durante un intervento di polizia. Eccesso colposo per i quattro agenti che hanno infierito sul ragazzo colpendolo più volte con i manganelli. Fra loro, una donna (Significa qualcosa? Importa qualcosa?).

    Un pacco di wafer = tre anni

    La vita di un ragazzo = tre anni e sei mesi.

    Pur riluttante all’idea di forme qualsiasi di contenzione, rimane una domanda bislacca che non va via dalla testa: sei mesi… sei mesi fanno la differenza fra un pacco di wafer e la vita di un ragazzo?  

    Contaminazioni…

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    Un Cristo. In bronzo. Forse appena risorto. Forse già in volo. Inchiodato lassù, a un salto dall’altare. A un passo dalla luce della vetrata. Con le mani e le braccia gentilmente scostate dal corpo, una verso l’alto, l’altra verso il basso, nel gesto di una danza. E la veste allargata a campana. Come dovesse, sulla base rigida di quella veste di metallo, ancorarsi alla terra. Ma la spinta contraria dello spazio cavo della veste rigonfia, è ancora illusione di un volo. Il rigonfio moto immobile di quel Cristo inchiodato al muro, diventa a un tratto il ruotare senza fine di danza di derviscio.

    ancora, di suoni e silenzi…

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    … Ci sono momenti in cui il suono del silenzio è fortissimo. A volte raggiunge densità incredibilmente pericolose. Provate ad eseguire una melodia seduti con il vostro strumento al centro di una casa assolutamente priva di voci. Il suono si amplifica oltre ogni immaginazione. La perdita di confine fra la musica che abbiamo dentro e quella che riusciamo a portare fuori diventa incontrollabile. Il suono si propaga lungo onde ampie, sempre più ampie. Disegna superfici che si allargano si allargano si allargano. Sulle quali si dilata l’anima. Che è una sensazione indescrivibile. Esaltante. Paurosa. In uno spazio muto bastano poche note insieme per sviluppare vibrazioni e forze infinite. Ma c’è un limite di dilatazione oltre il quale l’anima si perde. Se non siamo ancora pronti per il salto nell’infinito. Allora non basta la nota che segna il punto del silenzio. Per fermare la paura.