Gabin Dabiré, in concerto il primo agosto. “Notte Africana”, presso la Darsena Azzurra di Fiumaretta di Ameglia (Genova).
“Il nuovo amico veniva da un paese dell’Africa occidentale. Alle percussioni era un mago. Ma non solo. Un poeta, direi.Continua a suonare. Ho sempre i suoi dischi. Anche qualche vecchia cassetta. Questa è una delle prime registrazioni. Il nastro è molto rovinato. Ma si può provare ad ascoltarlo. Potrebbe rompersi. Speriamo non succeda. Ecco… Il suono è opaco. In questo punto diventa troppo flebile. Si allontana. Peccato, il nastro è davvero troppo vecchio. Ma ancora si percepisce il pulsare della voce del suo paese. Immensa. Profonda. Magica. In questo punto… un timbro arcano… dà quasi una sensazione d’umore caldo… Si avverte ancora? Sì. E’ odore di terra. Respiro d’animali e di dèi d’acqua. Se chiudo gli occhi li vedo. Animali e dèi. Questo suono. E’ un tamburo parlante. Dicono abbia poteri magici. Dum… dum… dummm...
Un viaggio

La nostra vita… ogni giorno una corsa… E così il nostro tempo rotola, rotola senza sosta, come su un treno lanciato a tutta velocità. Ma qualcosa, qualcuno a volte c’invita a fermarci… e così ha fatto Cleonice Parisi, favolista spirituale, con il suo racconto “Non si ferma questo treno". Una favola per riflettere un po’ su noi e sulla nostra vita, che va avanti, va avanti senza sosta… E questo è un invito a raccogliere il suo invito, con questo racconto che parla in favolese, come sa fare la mente che dell’anima ha visitato il paese…
Cercando sonorità che evochino la Grecia. E ritrovando i passi di sirtaki di Zorba il greco. E il danzare assoluto di Anthony Quinn. A un tempo corposo e aereo. Corpo e cielo, sullo sfondo di una spiaggia secca di pietre. Umida di vento e onde. Dal sapore di terra e sale. Passi, che sfiorano il suolo, accarezzano il vento. E si intrecciano. Lenti. Ancora lenti. Poi prendono ritmo e sembrano inseguirsi senza mai più toccare terra. E il bianco e il nero della pellicola del passato vira nell’azzurro e nel bianco della luce del mare. E quando il ritmo cresce, cresce, cresce fino all’impossibile, Zorba è solo quella danza, e l’aria e il mare. Appassionato e appassionante, come sa esserlo un uomo che danza la vita.
Leggendo. E rileggendo delle norme del “pacchetto sicurezza”. Quasi a convincersi che, sì, è proprio vero. E chiedendosi, guardandosi intorno, quanti clandestini ha già fabbricato questa legge. Quanti infiniti ne fabbricherà. La risposta è che già sono molti, molti di più di quanto sia possibile calcolare e ipotizzare. Perché il conto non finisce con tutti gli stranieri che questi tempi bui additano come “nemici”. Già, perché qualcuno, fra chi ci governa, ha detto: “Queste norme sono state chieste dal popolo italiano”. E tutti quelli che, pur anagraficamente parte del popolo italiano, queste norme proprio non le avrebbero volute, e non le vogliono? Domanda legittima. In quanti siamo diventati clandestini, dopo le norme del “pacchetto sicurezza”? Dopo, soprattutto, questa frase, che espropria tanta parte del popolo italiano, della legittima appartenenza al popolo italiano. Le parole… andrebbero usate con maggiore cautela, le parole…
… Ci sono momenti in cui il suono del silenzio è fortissimo. A volte raggiunge densità incredibilmente pericolose. Provate ad eseguire una melodia seduti con il vostro strumento al centro di una casa assolutamente priva di voci. Il suono si amplifica oltre ogni immaginazione. La perdita di confine fra la musica che abbiamo dentro e quella che riusciamo a portare fuori diventa incontrollabile. Il suono si propaga lungo onde ampie, sempre più ampie. Disegna superfici che si allargano si allargano si allargano. Sulle quali si dilata l’anima. Che è una sensazione indescrivibile. Esaltante. Paurosa. In uno spazio muto bastano poche note insieme per sviluppare vibrazioni e forze infinite. Ma c’è un limite di dilatazione oltre il quale l’anima si perde. Se non siamo ancora pronti per il salto nell’infinito. Allora non basta la nota che segna il punto del silenzio. Per fermare la paura.