Cosa vuoi di più? / “Il tocco delle stelle”/ LE STAGIONI DELL’ETERNITA’/ HAN TUTTA L’ARIA DI PARADISO
Grida
Ancora, nel buio. Grida. Di gabbiani. Che urlano. Squarciando la notte. Grida paurose di strazio infinito. Di ali spezzate. Che urlano il rimpianto del rumore del mare. E un dolore impossibile da narrare. Impossibile da acquietare. E anche quando la notte sfocia nell’alba, la luce è ancora paura. Di prigioni di gabbie di cemento.
Terrorismi
Ricordando don Giuseppe Diana. Ucciso 15 anni fa dai killer della Camorra di Casal di Principe. In questo documento le parole che lo hanno condannato.
“Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandandti delle organizzazioni di camorra(…) La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica della società campana. I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorzioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scorggerebbero l’imprenditore più temerario;
Pensiero di metà marzo
Pensiero di metà marzo. Fuggendo dal frastuono di troppe parole. Inseguendo Alda Merini.
“I poeti lavorano di notte/quando il tempo non urge su di loro,/quando tace il rumore della folla/ e termina il linciaggio delle ore./ I poeti lavorano nel buio / come falchi notturni od usignoli / dal dolcissimo canto / e temono di offendere Iddio / ma i poeti nel loro silenzio / fanno ben più rumore / di una dorata cupola di stelle”.
Pensiero di metà marzo, accompagnato da un desiderio. Piuttosto pressante. Di poeti e di poesia.
New York, ad esempio
“New York. Bagliore di vetri che incanta. Città verticale. Foresta di linee. Rette che nascono da un punto della terra e fuggono verso l’alto, oscurando il cielo. Dita di cemento e vetro che pretendono di toccare l’infinito. Una sfida oscena che ha il sapore della bestemmia. Di scommesse già perse. Un’incantata foresta di specchi. Dove la propria immagine può moltiplicarsi all’infinito, e non c’è nulla di più esaltante. Ma dove si può anche rischiare di diventare meno del niente che nello smarrimento si teme di esere già diventati. Ah, New York! Anche a me che tanto l’ho amata, dove in tante occasioni ho cantato e ballato e gioito, a volte è sembrata solo ombra cupa di grattacieli. L’ho vista anch’io perdere la consistenza della materia e trasformarsi in linee aeree di suono acuti. Come tracce di note in fuga scappate via dal pentagramma. Un’eco surreale delle grida che muoiono, appiattite sull’asfalto”. da Angela, angelo, angelo mio… New York. A proposito di fughe…
A proposito di idee che girano sulla caccia…
Leggendo dell’Italia della libera caccia che dovrebbe venire fuori dalla controriforma in discussione nella commissione Ambiente del Senato. Un ritorno al Medioevo, che cancellerebbe equilibri faticosamente raggiunti nel decennio passato. Vengono in mente le parole di Marguerite Yourcenar, che ricorda che in un racconto de Le mille e una notte si legge che “la Terra e gli animali tremarono il giorno in cui Dio creò l’uomo”. Visione folgorante, “oggi che sappiamo a qual punto la Terra e gli animali avessero ragione di tremare”. E quanto possono ancora tremare davanti a quest’ultima oscenità che il regime contemporaneo prova a partorire…
ancora dagli appunti di Atene
Riprendendo… da Atene, dunque. E quindi scendendo fino ad Epidauro. Grande teatro fra i boschi di un’altura, affacciato sulla piana. Incredibilmente intatto nel tempo. C’è vento. Un vento freddo che spaza l’aria e ghiaccia le orecchie. Che ha spazzato via, sembra, anche le voci che lì hanno abitato. Sembra ci sia solo silenzio. Nonostante i richiami qua e là gridati dai visitatori. Ma sono solo parole piccole di silenzi striduli. Sì, il vento ha spazzato via le Voci. Ma forse, le Voci, sono andate a nascondersi, fra gli alberi alle spalle della scalinata. In attesa che il teatro diventi di nuovo solo per loro. Per tornare a popolare la notte, e nel buio la scena è ancora tutta per loro…
Un testo segreto…
Per questo 8 marzo. Dai “Testi segreti“, di Marguerite Duras.”Lei non ritornerà mai. /La sera della sua scomparsa in un bar, voi raccontate la storia. In un primo momento la raccontate come se fosse possibile farlo, poi lasciate perdere. In seguito ne parlate ridendo come se una cosa simile fosse stata impossibile o come se voi aveste potuto inventarla./ Il giorno dopo, all’improvviso, voi notereste forse la sua assenza nella camera. Il giorno dopo, forse provereste il desiderio di rivederla là, nello straniamento della vostra solitudine, nel suo essere sconosciuta da voi. / Forse la cerchereste al di fuori della camera, sulle spiagge, nelle vie, sulle terrazze. Ma non potreste trovarla perché voi non riconoscete nessuno nella luce del giorno. Voi non la riconoscereste. Di lei non conoscete che il corpo addormentato sotto gli occhi chiusi o socchiusi. La penetrazione dei corpi voi non potete riconoscerla, non potete riconoscerla mai. Non lo potrete mai. / Quando avete pianto, era su voi solo e non sulla mirabile impossibilità di raggiungerla attraverso la differenza che vi separa.”
Continuando…
Continuando, dagli appunti di un anno fa… Lassù. Sull’Acropoli, dunque. Lassù anche cani. Quanti. Guardiani. Bastardi padroni inquieti del campo. Trotterellano avanti e indietro, avanti e indietro. Da una pietra all’altra si lanciano segnali, si chiamano, s’incrociano annusandosi appena. E poi via. A inseguire ciascuno la propria traccia. Tollerano, quasi ignorandolo, con la rassegnazione umida delle bestie abbandonate, il vagolare dei visitatori. Come sapessero che saranno fastidio breve. Ma ecco, forse c’è stato un gesto di troppo, o qualcosa, un richiamo, che solo lui, quel cane dal manto chiaro,ha sentito. Allora scatta verso il parapetto e comincia ad abbaiare, abbaiare alla valle. Lanciando disperato un segnale a qualcuno che lui solo sa.
Qualcun altro sta, addormetanto, allungato sul suolo a prendere forza dal sole che pure l’inverno regala. E stanno qua e là immobili, quasi trattenendo il respiro. Anzi, quello più grosso, lì giusto ai piedi di una colonna del tempio, forse proprio non respira, neanche fissandolo a lungo se ne percepisce il minimo fremito. Finge, si capisce, di non sentirei ronzii e gli scatti delle macchinette che faranno anche di lui una foto ricordo, e le risatine e i passi, che sa al tramonto infine finiranno.
Pensiero di Marzo
“Tutti gli alberi, sono angeli feriti”. Firmato, Il filosofo ignoto. Citato da Guido Ceronetti, che premette: “filtrata da non so quali sonorità di estati e di lamento emanate dalle radici dei fatti è pervenuta a uno dei miei cento Timbri questa massima di foglie tenui”. Dall’introduzione alle Ballate dell’Angelo Ferito. Canti e grida. Dal profondo di una voce che, sempre, sembra urlare nel deserto.