Dal video di Amnesty International sulle torture negli interrogatori dei presunti terroristi.
“Una crudeltà consacrata dall’uso nella maggior parte delle nazioni è la tortura del reo mentre si forma il processo, o per constringerlo a confessare un delitto, o per le contradizioni nelle quali incorre, o per la scoperta dei complici, o per non so quale metafisica ed incomprensibile purgazione d’infamia, o finalmente per altri delitti di cui potrebbe esser reo, ma dei quali non è accusato.Un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice, né la società può toglierli la pubblica protezione, se non quando sia deciso ch’egli abbia violati i patti coi quali le fu accordata…
Forse era ‘solo’ una prostituta. Uccisa, messa in un sacco e gettata nel bosco alle porte di Lecco. Poco più di vent’anni, sembra. Tagli sul corpo e forse strangolata. Trovata per caso. Per quel braccio morto che spuntava fuori dal sacco, sembra. Nella stessa zona dove, l’estate scorsa, furono trovati i corpi di due ragazze, rumene, anche loro uccise e buttate in un sacco. Spazzatura. Questioni di malavita, serial killer…? La mattanza comunque continua. Ma la rappresentazione della violenza reale sembra assai più debole di quella ‘percepita’. Nessuno oggi, nessuno l’estate scorsa, ha invocato a gran voce ronde da mandare sui cigli delle strade.
C’è qualcuno in città, che si aggira salvando piccioni. Una donna armata di forbicine, piccolissime, per liberare gli uccelli dai fili di plastica che i volatili raccolgono per costruire nidi, ma nei quali spesso rimangono impigliati, ferendosi, mozzandosi a volte persino gli arti. Una specie di fatina urbana, che immagini comparire all’imbrunire, compiere paziente la sua missione e poi svanire nella notte, magari volando via. Lieve, come la scrittura che ce la svela, nelle pagine del libro di racconti di Piera Mattei. “Melanconia animale”. Racconti che dalle prime parole, quasi un fiato, “tradiscono” la sua autrice. Che, mi permetto, molto più che scrittrice è poeta.
Una sola volta ho visto un cuore conservato in un’urna. A Vienna. A dire il vero il cuore non l’ho visto affatto, sigillato dentro l’urna di pesante metallo. Ma la scritta alla base del contenitore era chiara. Vi era conservato il cuore di un Asburgo. E mi è importato poco sapere che la pratica dell’espianto del cuore, come delle viscere, era cosa necessaria per il processo d’imbalsamazione. Non ho potuto che immaginarlo con molta tristezza. Quel cuore smarrito, lontano dal corpo al quale era appartenuto e insieme al quale avrebbe forse preferito dissolversi nella terra. Ora era lì dentro, condannato a una solitudine eterna e buia. Nudo del corpo. E lo sguardo, anche di qua dall’urna, si fa impudico. Tristezza ancora maggiore ho provato quando ho saputo di Chopin e del suo cuore, custodito in Santa Croce a Varsavia, così lontano dalla tomba di Père Lachaise a Parigi, dove riposa.