“In circostanze normali, una persona incontra nel suo simile solo un odio moderato e molto relativo; e anche egli stesso, con tutto quanto sa della vita, prova grande difficoltà a odiare senza restrizioni e riserve. Certo, si hanno dei nemici e ci si rende conto di questo fatto, ma non si riesce a credere che siano capaci di tutto. Non lo sarebbero, del resto, neanche gli amici. Questi, come quelli, sono fatti proprio come te, giacché anche tu ami oppure odi fino a un certo punto e non oltre. Poi s’impone il tuo scetticismo; ed è bene che sia così, tanto per il tuo benessere fisico come quello spirituale. Un odio esasperato non sarebbe sano per te. Inoltre, sarebbe indegno della tua intelligenza. Tu confronti il nemico con l’amico e constati che entrambi, alla fine, sono esseri umani.
Occorre essersi lasciate alle spalle parecchie cose prima di darsi decisamente in braccio all’odio. Oppure può darsi che non si sia fatto nessun passo avanti nel campo dell’umana riflessione e del dubbio, e non si sia quindi del tutto civilizzati”.
E’ la pagina con la quale inizia uno scritto di Heinrich Mann, Der Hass. L’odio.
Raccontare l’odio. Le profetiche pagine di Heinrich Mann
magie…
Tautogramma… A dire la verità fino a ieri non sapevo neanche cosa fosse. Un componimento in cui tutte le parole iniziano con la stessa lettera. E come immaginare che qualcuno si possa prendere la briga di abbandonarsi a questa forma di ingegneria letteraria…
Ma ancora una volta un libretto bussa alla mia porta e mi ricorda che c’è sempre qualcosa da imparare. E che ancora una volta porta in dono la gioia di un momento di stupore…
Mi è accaduto appunto ieri leggendo pagine di “Poesie in tautogramma”, raccolta di Alessandra Palombo. Non sono un critico letterario, non sono “esperta” di poesie. Ma come mi ha detto un giorno un’amica che ne sa ben più di me: non bisogna essere esperti per incontrare la poesia. La poesia si riconosce… e in queste pagine magicamente nella poesia sono all’improvviso scivolata.
Ascoltate:
Incamminarsi
in inverno,
inattesi
intravedersi,
intuirsi.
Irrazionali
incontrarsi,
intrepidi
intrigarsi,
infatuarsi.
Insieme innamorarsi.
Non è un soffio al cuore?
Sopra la follia….
La riflessione di Vittorio da Rios, a proposito del “labirinto della vita”… vale la pena leggere e appuntare… con un grande grazie a Vittorio e alla sua infinita attenzione …
“Senza speranza non è la realtà ma il sapere che -nel simbolo fantastico o matematico-si appropria la realtà come schema e cosi la perpetua” Horkheimer e Adorno 1947 Inizia con questa citazione il grosso e notevole saggio su Follia/delirio di Franca Ongaro Basaglia, e Franco Basaglia per l’originale e monumentale enciclopedia tematica Einaudiana. Merita citare il primo capitolo: Ragione e Follia per comprenderne sia la profondità di analisi degli autori, quanto la sua attualità. Non esiste storia della follia che non sia storia della ragione,Lo stesso sforzo di Foucault di seguire l’itinerario del silenzio o della parola del folle nei secoli, è ricerca dell’interpretazione di quel silenzio.o di quella parola, quindi monologo della ragione “sopra” la follia, “1961”.
Fotografie matte, nel labirinto della vita
“Una fotografia è un soffio che frattura un vetro posato sul mondo… Il fotografo è un vetraio, ma anche un collezionista di vetri infranti, dietro ai quali appaiono fantasmi che ci attraversano”.
Non trovo espressione migliore di questa di Serge Pey, per esprimere quello che ho provato sfogliando le foto con le quali Pietro Basoccu racconta la vita di una casa-famiglia. Nel labirinto della vita, s’intitola il lavoro, dove le immagini, introdotte da una riflessione dello psichiatra Vittorino Andreoli, che è stupore di fronte a “fotografie matte” che “sono bellissime”, sono anche accompagnate dalla poesia di Serge Pey, poeta visivo e tante altre cose ancora.
Ho incontrato per la prima volta la bellezza delle fotografie di Pietro Basoccu, che è medico pediatra fotografo, nel racconto di un carcere della Sardegna, Captivi… dove il bianco e nero dipinge il grigio di un’ossessione, attraverso la quotidianità di dettagli che compongono vite che non riusciamo a immaginare, e forse neppure lo vogliamo…
L’ultimo cancello
Nella rubrica delle lettere dal carcere dell’ultimo numero della rivista “Una città”, la lettera di Giovanni Zito, per la prima volta fuori dal carcere dopo un quarto di secolo, per un permesso di 4 ore. La sua emozione è la nostra emozione:
“Quando varcai l’ultimo cancello rosso del carcere, per avviarmi verso le otto ore libere dopo aver scontato un quarto di secolo in carcere non mi sembrava vero. Ad attendermi c’erano la dottoressa Ornella Favero, la sua assistente Francesca, la Rossella sorella della Favero ed un mio carissimo amico, Lorenzo, che ho abbracciato con molta emozione. Sono stati loro i miei angeli custodi per quel giorno. In macchina, seduto davanti vista la mia imponenza strutturale, mi sono goduto la vista guardando le distese d’erba che scorrevano nei miei occhi, il profumo degli alberi che m’investiva come un’onda… pochi chilometri, per arrivare nella sede esterna della redazione di “Ristretti Orizzonti”, dove si è svolto un incontro con alcuni professori per definire alcuni punti del progetto scuola-carcere, che seguo da cinque anni, insieme agli incontri che facciamo tra dentro e fuori il carcere per testimoniare delle nostre vite, le devianze ormai lontane del tempo della gioventù, e quel che siamo diventati oggi.
Concerto sul Piave
Bellissimo controcanto agli incontri del primo dell’anno, il racconto che ci regala Vittorio da Rios… fra l’eco di lamenti lontani, e il richiamo sfavillio d’ali..
“Ricordo una domenica di fine aprile negli anni novanta stavo arando del terreno: “quanti processi modificativi dopo l’invenzione dell’aratro 6000 anni fa si sono succeduti per rivoltare le zolle e preparare il terreno alla semina”, dentro l’alveo sinistro del Piave, terreno fondamentalmente fresco e di medio impasto anche se con presenze di aree ghiaiose.Il cielo limpidissimo e azzurro con la presenza di una lieve brezza, e in basso oltre la riva lo scorrere limpido e tranquillo giocando tra i sassi del Fiume Piave. Mi fermai spensi il potente trattore e in religioso silenzio lo osservai come era irriconoscibile cosi puro e quieto il sua andare a valle inesorabile da millenni.sfociando nell’Adriatico. Irriconoscibile da quando decenni prima si era tinto di piene anomale e tragiche colme di sangue di giovani creature italiani, austriaci, inglesi, scozzesi francesi ecc e molti provenienti dalle colonie africane.mandati a massacrarsi tra di loro. E il Piave a lavare questo orribile scempio fatto dall’uomo sull’uomo, raccogliendone assieme al sangue l’ultimo grido disperato di migliaia e migliaia di giovani al crimine da loro subito.
Incontri di buon augurio, fra terra e cielo, sulle orme di Francesco
Ve lo voglio confidare. L’anno si è aperto sotto i migliori auspici.
Immagino lo sappiate tutti. Il primo incontro della giornata, la mattina del primo giorno dell’anno nuovo, segnerà tutti i dodici mesi successivi. Sembra porti tanta fortuna incontrare un uomo col cappello, fortuna in amore incontrare una persona di senso opposto… e chi più ne ha più ne metta…
Siccome a tutte queste cose anch’io credo, sono sgattaiolata in strada che appena erano passate le nove, nel deserto che potete immaginare, dopo la notte più insonne dell’anno…
Ma, avevo appena svoltato l’angolo della stradina dietro casa per avviarmi lungo la cancellata che abbraccia il giardino di quel delizioso villino del quale ogni tanto vado a riempirmi gli occhi e l’anima… e ho visto un uomo che guardava amorevole alcuni piccioni, lì a becchettare molliche sul selciato intorno ai suoi piedi. Sembrava avesse con loro una certa confidenza, come contemporaneo san Francesco…
Wali, che ha rifiutato il Paradiso per non uccidere
Quanto è lontano l’Afghanistan? Più lontano della luna, sembrerebbe…
Un pianeta grigio e pietroso su cui neppure vale più la pena di sollevare lo sguardo. Certo, capita di vederne brani, come squarci di paesaggi lunari di macerie, negli occhi e nella carne della sua gente martoriata. Ottomila le vittime solo quest’anno, e quasi tremila sono bambini, è la denuncia di Emergency. Ma per noi spesso sono solo numeri…
Eppure qualcosa può sempre cambiare, quando a quei numeri riusciamo a dare un nome e un volto. Ed è quello che ci aiuta a fare Atai Walimohammad, Wali per gli amici, fuggito dal paese ‘liberato’ dagli Usa (pronti oggi a un ambiguo ritiro) e venuto a vivere in Italia.
La primavera scorsa ci ha raccontato gli anni terribili dei bambini bomba e il prima ormai dimenticato (https://www.remocontro.it/2018/04/08/wali-e-lafghanistan-talebano-dove-ora-volano-i-bambini-bomba/). Oggi ci invita a non dimenticare il suo paese con un libro in cui narra la sua storia. “Ho rifiutato il paradiso per non uccidere” (firmato insieme con Rosario Lubrano). La storia di un “infedele” che per il cammino della propria vita non ha visto altra via che quella indicata dal padre, Atta Mohammad, che era medico, psicologo, aveva come unico credo la conoscenza e la cultura, e per questo è stato ucciso.
C’è qualcosa che non va…
Si fa davvero fatica quest’anno, ad accendere le luci del presepe. A pensarlo, anche, un presepe. Con le sue figurine, i pastorelli, gli animaletti, gli spruzzi di neve finta, gli sfondi di stelline, e la capannina con il suo compunto arredo di Maria, Giuseppe, bambino, bue e asinello…
Si fa davvero fatica. Se, guardandosi intorno, ecco: il presepe è già bello e servito…
Sotto le tende di fortuna delle famiglie lasciate per strada da guerre vicine e lontane, negli occhi dei bambini schiacciati dai mille Erodi, dalle contemporanee presunte guerre al terrore, dalle guerre di rapina di sempre, dalle guerre nostrane combattute a colpi di mura e di decreti…
Sarà per questo che quest’anno il presepe in Vaticano è stato scritto sulla sabbia.
Come le parole d’amore scritte sulla riva del mare, che sappiamo durare il tempo dell’onda che presto se le porta via, per subito nascondere l’antica bugia che pure ci ostiniamo ogni volta a ripetere…
Allora, quest’anno, facciamo un atto rivoluzionario. Non accendiamo le luci sull’ipocrisia dei nostri presepi.
Due cartoline d’auguri…
Due brevi appunti, che Gatto Randagio ci invia, come biglietti d’augurio per le feste alle quali, convinti o recalcitranti, siamo comunque tutti invitati a prepararci… Una riflessione sul dono, e una cartolina da e per il Mondo di sotto.
Giornata bigia di pioggia, l’altro ieri. Il Gatto ne ha approfittato per restare in casa, a tentare di stilare l’elenco dei libri che regalerà per Natale. Tranne rare eccezioni, tende a donare solo libri, il Randagio. Che non è affatto scelta facile o sbrigativa. Con il dubbio di sempre: cercare il titolo giusto per ciascuno, o affliggere tutti con il libro che più, nell’anno, gli ha fatto battere il cuore… Ricorda ancora i sorrisi spenti di quando ha distribuito a tutto spiano racconti dal carcere. “Come fossero stati invece entusiasmanti quelli ricevuti in cambio, di libri!”, si è detto. Poi subito vergognandosi di questo pensiero cattivello…
E per riparare si è messo a sfogliare l’ultimo libro scritto dalla teologa Adriana Zarri, “Un eremo non è un guscio di lumaca”, per ripescare una riflessione, che gli era stata sottolineata da altra scrittrice, Gabriella La Rovere, sul dono. Ascoltate…