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    Soldatini….

    La sicurezza è madre del pericolo e nonna della distruzione. L’aveva scritto a suo tempo lo storico inglese Thomas Fuller. Siamo in pieno Seicento, ma come tutte le verità di profonda saggezza, è pensiero che attraversa i secoli, e arriva fino a noi, che meglio non può spiegare la sottile inquietudine che mi prende alle caviglie passando ogni mattina davanti a due soldati, piantati con l’arma in pugno, a vigilare sulla nostra sicurezza.
    All’inizio erano all’ingresso della metropolitana, sulla strada. Adesso, scendi nell’imbocco della stazione, giri a destra, passi i tornelli, e te li trovi lì, davanti alla scala mobile.
    Qualche volta non li vedi e tiri un sospiro di sollievo “è finita questa storia…”, ma poi ti sobbalza il cuore che sbucano all’improvviso al piano di sotto, lungo i binari, e vanno avanti e indietro, avanti e indietro…
    L’impressione, a uno sguardo forse superficiale, è che forse pochi, ormai, ci facciano più caso. Le persone arrivano, strisciano il biglietto, passano ai varchi e corrono via, per lo più con gli occhi a telefonini, tablet e simili, tutti presi da quello che riserva la giornata. Come se quei soldati facessero ormai definitivamente parte dell’arredo dei luoghi del nostro vagare quotidiano… Continuo a voler sospettare che sia una finta. Perché se davvero questa presenza ci è indifferente, o se, peggio, la vista di soldati armati ci fa sentire più “tranquilli”, c’è davvero di che scappare a gambe levate… parola di gatto randagio.
    A me, sinceramente, mettono i brividi quei due soldatini… che a volte, nell’alternarsi dei turni, uno dei due è soldatina…
    “Vedi la soldatessa?”, ho sentito un giorno un uomo dire a un amico, appena passati i tornelli. “Ho messo la mano in tasca, ho esitato un po’ per prendere il biglietto, e in quel momento, che vuoi, la stavo guardando…e ho colto, giuro, sul suo viso la vibrazione di una tensione… e uno scatto della mano sull’impugnatura del fucile… Ma se fossi stato più brusco? Se avesse preso il mio sguardo per una minaccia … che avrebbe fatto? Mi avrebbe puntato l’arma contro? E se fossi stato un terrorista imbottito d’esplosivo… che farmi ammazzare è il mio sogno… “
    “Avrebbe magari beccato anche me che ti sono vicino, e nel parapiglia… quando tutti scappano, immagina… Sarebbero in grado di mantenere i nervi saldi? Che fanno, i due soldatini, per la nostra sicurezza, in attesa dei rinforzi? Sparano su chiunque si nuova?
    La sicurezza, madre del pericolo…
    Mettono i brividi e un po’ di tenerezza, i due soldatini a guardia della scala del metro. A volte tremo per loro, a vederli che passano le ore frugando con gli occhi nei visi di centinaia e migliaia di persone. Per cogliere un cenno, un indizio, un sospetto… e pregando, immagino, e lo speriamo tutti, che tutto scorra tranquillo.
    C’è da chiedersi: quale chimica degli umori chi ci governa pensa dovrebbe produrre in noi la vista di due soldati?
    Ci dicono, quegli uomini armati, che il pericolo è in agguato ovunque. Alimentando le nostre inquietudini, mantenendo viva una certa calma ansietà, e tanta sicura insicurezza, appena appena cullata dal vento che a tratti arriva dalla galleria del metro…
    La sicurezza del potere, in fondo, come ben disse Sciascia, si fonda sull’insicurezza dei cittadini.
    O forse esagero, che son donna. E non ho con le divise la familiarità che possono avere i maschi, che da bambini, si sa, da sempre giocano con i soldatini. Ma cosa diventa, da adulti, il gioco della guerra?
    C’è una sigla, che trovo fra le più belle, di una trasmissione di Rai Storia, che ci narra di guerre, più o meno lontane, più o meno vicine. Pochi minuti durante i quali scivolano le immagini di scontri armati, bombardamenti, esplosioni che dilaniano il suolo, trincee del tempo che fu… immagini in bianco e nero, a volte a colori, nelle quali si insinua la mano di un adulto-bambino, che guida la marcia di un carro armato e poi il volo del suo aeroplanino-giocattolo, simulando con la voce il rumore del motore, delle virate, delle picchiate, e poi dei colpi… Insomma il gioco della guerra, intorno al quale ancora si allevano i maschietti, magistralmente intrecciato allo sfacelo e agli orrori che bambini poi cresciuti hanno saputo produrre…
    La sigla ha voce di de André con la sua “Guerra di Piero”… che, lì, con l’anima in spalle, vede un nemico… e allora “sparagli Piero , sparagli ora /e dopo un colpo sparagli ancora /fino a che tu non lo vedrai esangue / cadere in terra a coprire il suo sangue “
    Un pugno di papaveri rossi, compare alla fine sulla dissolvenza delle immagini di guerra. Bellissimi papaveri rossi. Appena appena cullati da un respiro di vento…

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