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    Storia di Mona

    luoghicomunL’ultimo racconto di Gatto Randagio ( RemoContro)… “Oggi vi parlerò di Mona, che in arabo significa ‘desiderio’. Mona è una donna egiziana che diciotto anni fa è venuta a vivere in Italia, convinta dall’uomo che si è innamorata di lei e in Italia, dove già da qualche tempo lavorava, l’ha voluta portare sposa. Mona e suo marito Ahmed e i loro due figli, Mohamed e Lamis, abitano a Torpignattara. Sì, il quartiere romano dove da anni è insediata una comunità musulmana, “raccontato” dal discutibile ( e discusso e contestato) servizio andato in onda all’indomani della strage di Parigi sulla rete de La Sette, che ci ha propinato un quartiere sotto assedio, con romani che definire insofferenti è un eufemismo, e tutto l’armamentario che possiamo immaginare in termini di luoghi comuni, paure eccitate, percorsi bui, battute smozzicate, rubate, eccetera eccetera…
    Il viso di Mona, il suo andare ondeggiante, i suoi foulard colorati, il suo sorriso che esplode quando meno te lo aspetti, anche quando parla di tragedie piccole e grandi del vivere quotidiano, ci accompagna durante tutto il percorso di un bel documentario realizzato da Angelo Loy. E immaginando che ve lo chiederete, come me lo sono chiesto anch’io… il più noto Nanni era suo zio, e buon sangue non mente… per la curiosità, la capacità di andare dentro le cose che accomuna allo zio il nostro Angelo, che da sempre ha scelto di perdersi nei meandri delle nostre periferie. Bèh, se potete, andate a vederlo. “Luoghi comuni”, s’intitola il documentario, (…) luoghicomun prodotto dall’associazione Asinitas, onlus che si occupa di educazione e intervento sociale. Vi troverete sogni, aspirazioni, nostalgie… che sono la storia di Mona e della sua famiglia, ma anche quella di tante altre famiglie. Che per tutte, di immigrati ma non solo, gira intorno all’idea di ‘casa’, che è un luogo fisico, ma è anche il luogo, ben più ampio e profondo, delle relazioni e dei sentimenti.
    La casa fatta di mura e finestre è un sogno che sfuma, la famiglia di Mona subisce uno sfratto, e il percorso per la conquista di una nuova casa passa attraverso la storia di un’occupazione, l’occupazione di una villa. Sullo sfondo, e neanche poi tanto, quella raccontata è la storia di un intero quartiere, dove si intrecciano problemi, speranze, delusioni, ancora progetti… e sono vite di stranieri e vite di italiani, anche, che scivolano sullo schermo. Tutti accomunati da percorsi come in bilico, sui confini della precarietà… Che ci fa interrogare, noi così ben ancorati e asserragliati dentro le certezze e le mura del nostro quotidiano, su quanta forza e quali capacità e quale equilibrio interiore bisogna avere per non perdersi. Che ci fa anche avere un po’ di nostalgia di un luogo dell’anima che forse abbiamo perduto, quello affollato di incontri e di relazioni, e di sentimenti che tengono in vita e non hanno bisogno, per riconoscersi, del perimetro di un’abitazione privata. E forse alla fine ho capito il perché della risata che esplode così frequente sulle labbra carnose di Mona. Perché la sua Torpignattara è anche questo.
    La primavera di due anni fa mi era capitato di attraversare le strade di quel quartiere in un giorno di festa. Una grande festa, organizzata dalle varie comunità, insieme agli attivissimi attivisti del comitato di quartiere e alcune associazioni che di relazioni sul territorio appunto si occupano. Festa vivacissima e coloratissima, affollata di odori e di musiche. Una vera gioia per gli occhi, le orecchie e l’olfatto di un gatto randagio… e giusto giusto lì ho vagato per qualche ora, fra gli abitanti a riappropriarsi delle loro strade. Da quanto tempo non vedevo un amplificatore alimentato da un filo della corrente che da una finestra al primo piano si allunga giù giù fino in strada…
    Ultimamente, mi dicono, le cose sono diventate più difficili, è vero. Ma qui l’intercultura è sempre stata un vanto, e nessuno vuole tornare indietro su percorsi con tanta fatica e impegno tracciati. E, intanto, quel momento di festa comune (titolo, Alice nel paese della Marranella) è diventato un appuntamento fisso. Invito ad andare, in piazza della Marranella e dintorni, la prossima primavera…
    “Luoghi comuni”, dunque. “Nel senso di luoghi in comune come le piazze, le strade, le case collettive… peccato che da questo percorso l’unica cosa che non compare è quella che più di tutto dovrebbe esserci, lo dice la parola stessa: il Comune. L’istituzione, insomma”, lo fa notare Goffredo Fofi, intervenuto alla presentazione del documentario, la settimana scorsa, all’Apollo 11. Che, per chi non lo sappia, era lo scantinato di una scuola, il Galilei, a pochi passi da piazza Vittorio, dove spesso è possibile vedere film e documentari che, pur sempre interessanti, spesso molto molto belli, è difficile trovare nei circuiti, diciamo così, ufficiali. E anche questo è un indirizzo che invito a tenere d’occhio.
    Ancora un pensiero a Mona. Desiderio… Il suo sogno in realtà è di tornare in Egitto, mentre i suoi figli, che pure amano l’Egitto, mai lascerebbero l’Italia, nella quale sono nati. La casa delle loro relazioni è questa.
    Ah, dimenticavo… il servizio cui accenno all’inizio, andato in onda per la precisione all’interno de La gabbia, molto ha girato per le vie del web, e gira di qua, gira di là… incrociando parole e confrontando immagini, qualcuno ha notato che alcune delle immagini e delle battute sono replica di un servizio andato in onda dopo l’attacco a Charlie Hebdo, nel gennaio scorso… insomma, del ‘buon’ repertorio, per luoghi comuni, nel tetro senso comune…

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