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    Tante cose belle….

    lavagna-2Le cose belle… Questo inizio dell’anno nuovo, l’eco di un augurio delle nostre parti, di noi nati a sud del Garigliano, per intenderci… “Tante belle cose…”, si dice congedandosi. Che è augurio, accorato, di chi sa che tutte quelle cattive non ti saranno risparmiate. Ma che almeno, sul tuo cammino, possano le cose belle essere tante…
    Tante e belle come i desideri che, al tempo di Basaglia, gli ospiti dell’allora manicomio di Trieste scrissero su bigliettini da imbucare nella pancia di Marco Cavallo, il grande cavallo azzurro di cartapesta nato nel laboratorio messo in piedi da un gruppo di artisti. I desideri dei ‘folli’… a ben leggerli, riassumono la sostanza dei desideri di chiunque voglia riprendersi la vita, in qualunque parte del tempo e del mondo l’abbia dovuta lasciare.
    Così, rovistando nella pancia di Marco Cavallo, ancora si trovano la sciarpa rossa, da mangiare buono, un fiore… insalata russa, un burattino, un orologio sveglia, una canzone, tanti nemici di Troia, la Rosina vestita da Regina, una stella cometa… (E se volete leggerli proprio tutti, quei desideri, e scoprire che fra tanti c’è anche il vostro, c’è un bel libro, “Marco Cavallo”, edizioni Alphabeta, di Giuliano Scabia, che guidò quello straordinario laboratorio).
    Nota importante. Il giorno in cui i biglietti con i desideri furono imbucati nella pancia del gigante di cartapesta, qualcuno notò che Marco Cavallo aveva mangiato moltissimo, aveva la pancia piena. E “… se il cavallo mangia, allora nella pancia si trovano i desideri di tutti, realizzati”.
    Permettete, con salto di tempo e di luogo, l’azzardo di una contaminazione, che penso proprio piacerebbe a Marco Cavallo, perché la sua è una storia di libertà che parla di futuro, e riguarda chiunque il futuro cerchi. E allora nella pancia di Marco Cavallo, fra le tante cose, oggi dovrebbero trovare posto anche i desideri che sono stati scritti sulla lavagna della scuola del Centro di accoglienza di Casale san Nicola, centro per rifugiati, a Roma Nord.
    “Io vorrei… vorrei in Somalia finisce la guerra, io vorrei in Costa d’Avorio sviluppo subito, io vorrei la pace in Senegal e che il Senegal vince la coppa dell’Africa, io vorrei pace in Gambia. Basta così, Jahja Jammeh lascia il potere! Io vorrei fra Eritrea e Etiopia finisce la guerra, e vivere con la mia famiglia… Ishallah…”
    Le cose belle che, dopo tante cose brutte, sognano i ragazzi di quella scuola. Arrivano dal Mali, dal Senegal, dalla Costa d’Avorio, da Eritrea, Somalia… Tutti salvati dal mare. Tutti, parlano del sogno di una libertà che nasca dalla fine di guerre, prigionie, fame… Il desiderio, oggi, è un documento di permesso di soggiorno, è il lavoro, è una famiglia… Il desiderio, è anche solo poter comprare biglietti dell’autobus per arrivare al corso di informatica dall’altro lato della città.
    Il desiderio è anche la propria terra. Che sulla lavagna un giorno sono comparsi i versi di una canzone di Salif Keita, musicista del Mali. “Noi restiamo qui”, il titolo. “I nostri nonni hanno lavorato, hanno fatto la seconda guerra mondiale per la Francia. Ci sono molti bianchi in Senegal, in Mali e Costa d’Avorio. E’ tempo di affermare la nostra dignità. Il tempo degli schiavi è finito”.
    I desideri… sono quello dello studente venuto dalla Somalia, che racconta del suo giardino, metà perso con la guerra, l’altra metà venduto dai genitori per spedire su quest’altra riva questo loro figlio, che è singer, cantautore, e cerca un’orchestra che l’accolga. Anche il suo bigliettino lo mettiamo nella pancia di Marco Cavallo, dove sicuramente aveva messo il suo foglietto il giovane trombettista di Banjul, dal Gambia, che lui, il sogno di entrare in una banda, qui in Italia, alla fine l’ha realizzato.
    E speriamo ci sia posto, nella pancia azzurra del cavallo, per il desiderio di quel giovane venuto dal Mali. “Bello il Mali…” la prima frase che viene da dire pensando a reportage di deserti… “No”, lui corregge, “non è bello, c’è la guerra”. Con quegli occhi tristissimi che sanno quanto sarà difficile realizzare il suo sogno, che è un lavoro, per affittare una casa, per avere una donna da amare, sapere sia per sempre, avere figli…
    Una donna da amare, da vestire, come la Rosina, da Regina…
    Desideri fondanti della vita che, a rischio della vita, su una barca, tutti fin qui sono dovuti venire a cercare.
    Le barche… Con il capodanno di qualche anno fa, dalla riva lontana dell’isola di Lampedusa, sono arrivate, come fogli portati dal vento, le immagini di un calendario, che salutava l’anno a venire con una danza di barche volanti. E questo perché, dicono, lì il mare è così limpido che le barche appaiono come sospese nell’aria. Perché, dicono, le isole dell’arcipelago delle Pelagie possono ben rappresentare le isole del sogno, per chi arriva dalla riva ancora più a sud come per chi arriva dal nord. Migranti e turisti insieme, insomma, e ne erano convinti gli amministratori delle isole che quel calendario avevano pensato. E, ricordavano, “o dolce musa, portami a Lampedusa”, cantano i Sud Sound System… row row to Lampedusa we go go go for a better life…
    Un canto che non smettono di bisbigliare tutte quelle altre navi che, finite in fondo al mare, ora lì giacciono, ancora cullando tanti sogni distrutti… Ma sognando ancora, le navi, che tutte, ma proprio tutte un giorno possano riprendere il volo.
    E questo è l’augurio, per l’anno che verrà. Le cose belle…

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