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    Caldarroste…

    Pensiero d’autunno inoltrato. Seguendo il fumo e il profumo delle caldarroste. Da scoprire su un marciapiede di via del Corso. Sull’angolo con una delle strade che salgono verso piazza di Spagna. Il caldarrostaio è un uomo del Bangladesh, ha un berretto bianco da fornaio, e sta parlando al cellulare. E tutto questo ha un che di surreale, come l’odore delle castagne arrosto e il caldo delle braci. In un giorno sporco di afa, come tanti, in questo strano autunno avaro d’autunno. Ma poco più avanti, all’angolo successivo, è riprodotta la stessa scena. Il fornellone su cui arrostiscono le castagne, accanto un uomo, del Bangladesh (o dell’India? Ma per noi fa quasi lo stesso…) con un berretto bianco da fornaio, esattamente uguale a quello del caldarrostaio seduto poco più avanti… Tempo fa, in un articolo di un quotidiano che non ricordo, un uomo del Bangladesh parlava del suo lavoro, spiegando come veniva sfruttato… Vendeva caldarroste, pagato poche lire, dodici ore sulla strada, controllato a vista dal ‘datore di lavoro’. Che, per la cronaca, era un italiano. Lo stesso italiano, forse? Che ora ha messo in piedi l’impresa che trucca d’autunno questo mesto novembre …  l’ultimo travestimento della catena che sfrutta lavoro immigrato… ? Forse. Oppure no. Magari si tratta di una cooperativa di organizzatissimi immigrati. In ogni caso, sembriamo indifferenti anche a questo… e come tutto, senza un sussulto, ci scivolano davanti agli occhi anche queste figure…  improbabili statuine, che quest’anno prendono posto, nel presepe senz’anima del nostro Natale senza Natale.

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