Ancora maghi e magie…
parole…
…e sempre a proposito di parole, di significati che si trasformano e deformano … chi ricorda il tempo quando “vecchio” non era una brutta parola… e aveva profumo di saggezza … quando “grande vecchio” era pensiero di conforto e forza, e simpatia… e non rimandava al terrore di tremori e debolezze da scacciare lontano…
… e c’è ancora adesso
Un racconto di Gabriele Ermini, della scuola media di Regello, in provincia di Firenze. Parlando di cose piccole, di cose grandi… toccando problemi che riguardano tutti noi… in maniera molto profonda, sorprendente…
C’era una volta, tanto tempo fa, una regina…
…proseguendo…
…le parole, appunto, con le quali pronunciamo il mondo… Tolleranza, ad esempio. Già molto meno di rispetto e riconoscimento di diritti. Ma a chi di noi piacerebbe essere “tollerato”? E non riconosciuto, rispettato…
Pensiero di fine maggio
“I guasti del mondo si annidano nelle parole con le quali diciamo il mondo”. Pensiero di fine maggio, da un testo di Baudrillard. “Il delitto perfetto“, forse. Ascoltando le parole intorno…
Cenerentola
Ancora una fiaba. Cenerentola, dunque. Racconto della scalata sociale più stupefacente che abbia mai colpito la fantasia, come è giunta a noi nela rielaborazione di Perrault, la più conosciuta e amata delle almeno 345 versioni della storia. Fiaba dell’eterna attesa del principe, di donne divise fra il piacere di sogni danzanti e la mestizia dei compiti di sempre… C’era dunque una volta un gentiluomo che, rimasto vedovo, aveva sposato una donna superba e intrattabile. Essa aveva due figlie che le somigliavano in tutto e per tutto. Il marito aveva inveceuna sola figlia, ma di dolcezza e bontà senza paro, ereditate da sua madre che era la persona migliore del mondo… Inutile dire che la matrigna sfogava il suo caratteraccio sulla povera bambina…
Una preghiera
Una preghiera. Che ho letto affissa nella bacheca all’ingresso di una chiesa, la cappella del Belvedere di San Leucio, sulla collina alle spalle di Caserta. Scoprendo poi che era comparsa anni fa, sulla bachecha di un’altra chiesa, su nel nord, e di bacheca in bacheca, di chiesa in chiesa, è arrivata fin qui. Dunque: la preghiera dell’asino…
“Signore, ormai stiamo per scomparire…/ Mi hanno detto che in Italia / siamo rimasti in soli centomila. / E’ vero, siamo semplici asini… / però Omero ci ha cantato in versi sublimi; / però tu stesso uno di noi hai cavalcato. / Conservaci Signore. / Che sarebbe il mondo? / C’è sempre bisogno di qualche asino / che tiri avanti in silenzio / senza farsi vedere in televisione; / c’è sempre bisogno di qualche asino / che sappia solo dare /e mai prendere / e mai rubare. / Signore salva questi asini; / sono essi che salveranno la Terra.
Seguendo…
Seguendo il filo di luce delle fotografie di Letizia Battaglia. Ricordando e ritrovando la foto quasi identica di Rosaria Schifani. Quasi identica. Solo gli occhi… Solo, ora, schiuso l’occhio visibile nello spazio della luce. Sulla copertina di un libro pubblicato dal Saggiatore nel secolo scorso. E forse ora introvabile. “Le donne, la mafia”, di Renate Siebert, sociologa di origine tedesca, che si definisce studiosa del Mezzogiorno, donna del sud per scelta. Testimonianze, racconti, deposizioni, un’analisi storica che si intreccia a narrazioni tragiche di storie d’individui. Un libro da ripubblicare, magari…
Quando Rosaria Schifani…
Quando Giovanni Falcone e sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco di Cillo, Antonio Montinaro furono fatti saltare in aria sulla strada che dall’aeroporto di Punta Raisi porta a Palermo, nei pressi dello svincolo di Capaci… e quando furono i giorni dello smarrimento e i giorni del lutto, e quando in una chiesa affollata all’inverosimile, fin fuori la piazza e oltre, si svolsero i funerali… e quelle bare … ancora viene da piangere, a ricordarle lì, con quei corpi straziati, e tutta la loro vita, chiusi al mondo … e poi si alzò Rosaria Schifani… minuta, un volto scolpito nel pallore, bellissimo, come solo alcuni volti del sud… e all’improvviso ruppe il suo pacato parlare per urlare: “Vi perdono, ma inginocchiatevi… inginocchiatevi…“. Con quell’urlo, come nessun altro, forse, seppe dare voce alla voce della Palermo di quei giorni, al suo pubblico dolore. Qualche giorno dopo lessi, su un giornale, di altre sue parole, ricordando il compagno ucciso, e una frase, forse sfuggita… “…aveva delle gambe così belle…”. Una frase, forse sfuggita, dal baratro del suo privato dolore… che ancora brucia la pelle… e lascia la gola secca… Inginocchiatevi, ancora quella parola rimbalzava qua e là… Oggi, diciassette anni dopo, molto silenzio, troppo, negli ultimi tempi … Già, sembra finita la stagione dei “grandi” omicidi, dei “troppi” omicidi, e quando la mafia non uccide, o uccide con moderazione e senza clamori, e si muove con silenzio e nel silenzio… vuol dire, mi spiegarono allora, che piuttosto, nell’accordo, prospera…
Rosaria Schifani, Foto di Letizia Battaglia, Palermo 1993
Usignoli
Oggi vi vogliamo raccontare una fiaba che parla d’amore. D’amore grande … che sa essere ragione profonda dell’esistenza… Storia del colore di fuoco delle rose di maggio: l’usignolo e la rosa rossa… racconto, anche, dell’amore disilluso… di Oscar Wilde, che ancora si chiede e ci chiede: quando muore l’amore e dove inizia l’indifferenza? Fiaba dal profondo del suo dolore… Tutto comincia col pianto disperato di uno studente: “Il principe dà un ballo domani sera e il mio amore ha detto che ballerà con me se le porterò delle rose rosse. Ma non v’è rosa rossa nel mio giardino, … così lei non si curerà di me e il mio cuore si spezzerà». Lo udì l’usignolo, che pensò: «Ecco uno che sa veramente amare….