Disobbedendo a un garbato invito a riflettere su di un salmo. Dopo la lettura, la tentazione di saltare in fretta ad altre pagine, alla ricerca di parole rimaste da tempo scolpite nell’anima. Che trovo, dunque: “Io so di tutti voi. So che non siete né freddi né ardenti. Magari foste freddi o ardenti! Invece non siete né freddi né ardenti, e mi disgustate fino alla nausea”. Dall’Apocalisse. In attesa di ritrovare le parole della versione che a suo tempo, come una pugnalata, mi colpì…
Disobbedendo…
Vagoni e panchine…
Solo un pensiero. Tornando verso casa. Guardando il sole basso sul confine della collina, poi sulle case, sugli alberi, sulla curva del fiume, le baracche in riva. Lasciandosi ferire gli occhi, dai raggi quasi orizzontali di quel sole, attraverso il finestrino del vagone del trenino che riavvicina alla città. E pensando, lo spazio del breve viaggio dal lavoro a casa, spazio del pensiero libero. Accoccolato sul sedile che, nello spazio di un pugno di minuti, diventa luogo dello spazio infinito. Rubando quel po’ di tempo per perdere il tempo. Proprio come insegna a fare il libretto che da qualche giorno è in tasca e viene insieme a me, avanti e indietro, avanti e indietro, lungo il percorso quotidiano. Panchine. Elogio del tempo rubato al tempo, pensiero libero, appunto. Libero da ogni vincolo, libero dai commerci del mondo. Seduti, appunto, su una panchina. Sperando che nessuno pensi mai di segarla, la nostra panchina…
Un suggerimento. Da leggere, per chi la propria panchina l’ha già. Per chi cominci a cercarla, per vedere l’effetto che fa… Panchine, di Beppe Sebaste. Come uscire dal mondo senza uscirne , Laterza.
Tam tam
Tornando dalla manifestazione di Piazza Navona. Che si suggerisce chiamare ‘Piazza della Libertà’, dove inizia la raccolta di firme contro il decreto Alfano. Pensando a quante volte ci si è incamminati per raggiungere un banchetto e apporre firme. A quante altre volte ancora sarà necessario, per non dimenticare che democrazia è anche incamminarsi per andare a mettere una firma. Ieri, in un paese pieno di piazze e strade affollate, per motivi diversi, per la stessa domanda di democrazia. E’ rimasta, nelle orecchie, la musica della banda schierata sul palco a fine serata. Più che musica ritmo di tam tam, quasi voce tribale. Che avanza e s’infiltra e cammina, per diffondere il messaggio, per chiamare all’adunata, e attendere il tam tam di risposta. Per dirsi nella notte che non è tempo di dormire. Concedendosi il piacere di pensare che così sia davvero…
Un appunto
Aprendo a caso il quadernetto di ormai rari appunti. La nostalgia vera, vi leggo, è quella del futuro (chi l’avrà mai detto?). Comunque concordavo (uno, due, tre anni fa?). Nostalgia vera. Quella del tempo in cui si pensa davvero di averlo, un futuro. Comunque concordo.
Solo per lei
Poche parole. Ripensando all’incontro con il padre di Eluana Englaro. Alla sua ostinata battaglia. Per restituire dignità e diritto a un pensiero offeso. Al rigore e alla forza delle sue parole. Instancabile. Ancora, dopo questi ultimi sedici anni passati a contare i giorni della non vita. Contro tutti quelli delle tante parole e “principi” e codicilli vomitati davanti al dolore degli altri. Pensando a quest’uomo che, in sedici anni, la parola “dolore”, ricorda, non l’ha mai pronunciata. Perché è cosa privata, e nulla c’entra con la sua battaglia. “Per lei, dice, quello che faccio è solo per lei”. Inquieta piuttosto sentire l’obiettore di turno definirsi ‘addolorato’ delle parole di lui. Sentirsi addolorato… chi, e perché… Bisognerebbe essere più attenti, più cauti con le parole, e con il sentire, profondo, degli altri.
Pensiero d’ottobre
Affidati ai versi di Emily Dickinson, questi pensieri d’ottobre. Brani di preghiere, piuttosto.
“Non mi sono mai sentita a casa – quaggiù – / né mi sentirò a casa – lo so – / nei cieli luminosi. / Il Paradiso non mi piace”. E poi, piu’ avanti: “Dio dei ceppi / Dio dei liberi – / Non mi sottrarre / la mia libertà”.
(dalla raccolta Silenzi, traduzione di Barbara Lanati -ed. feltrinelli)
Ssssst…!
Un segreto, da sussurrare piano… Qualcuno è tornato. L’ho incontrata, ieri mattina. Le ho detto “buon giorno”. Ho fatto scivolare qualcosa nel suo bicchiere di plastica, e lei mi ha detto “ti benedica la Madonna”. Un saluto che è sempre un buon modo di iniziare la giornata. Qualcuno comincia a tornare. Ma non dico dove…
Entrando, uscendo
E’ morto a Bologna il drammaturgo Luigi Gozzi. Aveva 73 anni. Era passato dalle ricerche del Gruppo 63, alla sperimentazione degli anni 70, fino all’incontro tra palcoscenico ed elettronica. Aveva fondato il Teatro delle Moline. Daniela Morandini ne è stata allieva, e questo è il suo ricordo. Più che un ricordo.
“Teatro delle Moline, Bologna, martedì 23 settembre 2008.
In questa scatola nera, con due entrate/uscite in fondo, come nella commedia dell’arte, Luigi Gozzi ha lavorato per più di trent’anni, sulle parole della commedia, sulla fisicità dell’attore, sulla trasmissione del sapere. Qui sono cresciute almeno due generazioni di persone. Tra queste ci sono anch’io. Oggi, l’uscita di scena.
O e’ una beffa?
Lo spazio del nulla
Passando, e ancora passando. Giorno dopo giorno. Lungo la strada di sempre. Stessi negozi, stesse auto, stessi rumori, un po’ piu’ grigio, forse, il cielo, per accumuli della polvere degli scarichi, che nera riveste anche le foglie di magri alberi. Ma non riempie il vuoto delle assenze. Delle donne, di qualche vecchio, anche, che si incontravano ogni mattina, all’andata, ogni sera, al ritorno. In attesa di elemosina, magari anche di qualche parola. Torneranno, mi ero detta. Ad occupare lo spazio accanto a quell’albero, a destra del semaforo, sotto l’arco del piazzale, ai piedi della statua di san Francesco… Come sempre, torneranno, mi ero detta. Passata un po’ la brutta aria, dopo tanto tuonare di “pulizie”, “sicurezze”, “allarmi”. Ma vedo solo questo sporco nitore. Ancora nessuno torna. Chissa’ dove saranno stati mandati a nascondersi. Chissa’ quanto timore avranno davvero di tornare. Ma qui il vuoto, a volte e’ vertigine. Strana impressione, come di camminare sul bordo di una voragine. La stessa, impressione, provata attraversando da un oceano all’altro le terre dell’America del nord. Scoprendole piene del vuoto assurdo dei suoi nativi. E pensarli, scacciati, schiacciati, per fare spazio a tanto nulla.
Principi…
Tornando da una serata come ne vorremmo tante. Un teatro gremito. Di giovani soprattutto, ad ascoltare Roberto Scarpinato, procuratore aggiunto di Palermo, che parla del suo libro. Che parla del “Ritorno del Principe”. Racconto agghiacciante dell’Italia che è. Che affonda le radici nell’Italia che è stata. Risalendo risalendo nel tempo, fino alle machiavelliche radici del nostro sentire. In attesa e nella speranza che il libro venga distribuito nelle scuole, e per meglio spiegare di cosa stiamo parlando, riprendo la riflessione che tempo fa Scarpinato ha fatto in un incontro sul ruolo del cattolicesimo italiano a proposito di legalità, questione morale, cultura e giustizia. Promosso da Adista, Libera, Micromega, Narcomafie, Segno. Altro testo da tenere da parte, e rileggere, di tanto in tanto. Per trovare risposte ad alcuni, ineludibili perché, sulla Storia di questo nostro paese. Ecco: “Il dio dei mafiosi e dei dittatori”.