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    Alla ricerca degli abbracci e dei baci perduti

    Non è facile convivere con un Gatto rompiscatole. Soprattutto di questi tempi che, violentando la sua natura randagia, è costretto a stare in casa e avermi fra i piedi da mattina a sera. E anche la notte. Così, giusto per prendersela con qualcuno, continua a provocarmi…

    Ieri mattina il Gatto si è svegliato con il solito tarlo delle parole… come le acquisiamo, come le usiamo, com’è che espressioni, fino a ieri lontane, sciagurate congiunture fanno entrare nel nostro lessico quotidiano. “Eppure – ha borbottato ritornando su una delle sue fissazioni – le cose sono nelle parole con le quali le pronunciamo. E noi stiamo lì a ripetere parole senza interrogarci poi molto sul significato che hanno, su quello che, a volte arbitrariamente, acquisiscono…”
    Ho temuto ricominciasse con la questione della tanto proclamata “guerra al virus”, che guerra propriamente non è, mi ha già spiegato…
    Ma di espressioni che ci stanno bombardando in questi giorni, e che non lo convincono affatto, il Gatto ne ha compilata una lista. Ieri mattina …ha intavolato tutta una tiritera a proposito delle due parole che indubbiamente più ci sentiamo ripetere e che più di tutto stanno rivoluzionando le nostre vite: distanziamento sociale.
    “Ma ti rendi conto?” ha iniziato. “Non sapevi anche tu che ‘distanza sociale’ avesse il chiaro significato di distanza in termini di status, maggiore o minore benessere economico e quant’altro…?”
    Beh, certo. E’ però anche vero, gli ho obiettato, che in termini di prossemica, la disciplina semiologica che studia i gesti, il comportamento, le distanze all’interno di una comunicazione, sia verbale sia non verbale… la distanza relazionale è stata misurata, definita e quindi divisa in quattro “zone” interpersonali, e fra quella intima (0 e poco più cm) e quella delle pubbliche relazioni (3 metri e mezzo circa) c’è quella sociale, che va da un metro e due centimetri fino a 3 metri, giustappunto quella che ci viene chiesta…
    “Ma chi sa di prossemica?” mi ha subito zittita. “Giusto tu, pur di cultura appena media, ne conosci l’esistenza perché frequentavi un tempo quell’amico che ne era tanto appassionato. E tu di lui…”
    Birbante di un Randagio…
    “Siamo seri” ha ripreso un po’ pedante. “La distanza sociale, come noi del volgo l’abbiamo sempre intesa, è concetto classico della sociologia, che è, per dirla in termini propri, ‘la chiusura relazionale di un soggetto nei confronti di altri percepiti come differenti sulla base della loro riconducibilità a categorie sociali’. Fino a ieri”. E mi ha messo sotto gli occhi un articolo della rivista Focus, a proposito dell’isolamento di questi giorni, dove aveva ben evidenziato in giallo questa frase: “Oggi la distanza che ci è imposta è di tipo fisico. Ogni giorno lavoriamo perché non diventi anche sociale”…
    E già, di distanze sociali ce ne sono già fin troppe. Oggi con lo stesso termine ci viene chiesto altro. “Bisogna averlo chiaro in testa, e allora perché non parlare più chiaramente e propriamente di distanza fisica? Prima che qualcuno se ne approfitti… ”.
    E come dargli torto? Il Gatto in questi giorni, bisogna capirlo, non potendo fare molto altro legge moltissimo, e alzando il tono della voce… “Di sociale c’è, piuttosto, il grande esperimento che coinvolge tutti noi!”, mi ha detto indicandomi un articolo del penultimo numero di Internazionale, dove, richiamando l’opinione dello storico Yuval Noah Harari, si parla della pandemia come di un enorme (anche se involontario) esperimento sociale, che coinvolge un terzo della popolazione mondiale. Se vi sembra poco…
    “Nelle condizioni in cui siamo costretti, ognuno si confronta con la propria fragilità… quali saranno le conseguenze? Come ristruttureremo gerarchie di valori che sembravano consolidate? Quali consapevolezze? Quali paure?” spigolando fra le righe della pagina…
    Domande difficili, discorso immenso…. , che tutto nasce a partire da quel metro o due di distanza dalle altre persone che ci viene chiesto. Che sembra una cosa piccola… cosa volete che siano quei centoventi-duecento centimetri che ci separano, ci devono separare, dall’altro. Da chiunque altro. Eppure, è uno spazio vuoto che in alcuni momenti sembra aprirsi sull’abisso.
    Lontano da me una canna! Stà lontano da me almeno la misura di una canna… nel mondo contadino, si riferiva alla distanza di sicurezza da tenere con un serpente (un metro e mezzo circa). Ma è rimasto il detto per respingere persona invisa…
    Certo, molto bisognerà, bisogna subito iniziare a fare per evitare che tutto quello che deve restare semplicemente distante diventi inviso. Pensando a quante cose questo baratro largo poco più di un metro sta ingoiando… a cominciare da piccoli gesti, ma che molto significano, che compongono da sempre la grammatica del linguaggio dei corpi…
    Niente baci e abbracci, si ripete, per esempio, ancora, in questi giorni…
    “Ma si tornerà a toccare, abbracciare, baciare? E come? Si tornerà a farlo con la stessa forza, la stessa libertà, lo stesso abbandono di prima? E quanto ci vorrà…” si è agitato il Gatto.
    Già, cosa possiamo fare perché non resti dentro di noi quel piccolo tarlo, quella sottile paura, la diffidenza… perché anche quando tutto sarà finito non rimanga dentro di noi il sospetto, il timore, che tiene tutti “lontani una canna”. Prevarrà il nostro individualismo? Da tenere sano, pulito e distante, che non si sa mai…
    E il Randagio: “Ci vorrebbe a un certo punto qualcuno, autorevole, che si metta a baciare tutti per strada… o magari un solo bacio pubblico definitivo, a sciogliere il nodo… Altrimenti rischiamo che persino la memoria dei baci, quelli veri, vada perduta per sempre… in attesa che un pazzo vada a cercarli come Astolfo sulla luna…”.
    Mi è sembrato l’inizio di un delirio. E per calmarlo, e calmare anche me, ho avuto un’idea. Ripassare la lezione sui baci. Per non dimenticare come si fa, ed essere pronti quando saremo di nuovo liberi (anche rischiando, sì, come sempre un po’ intrecciando fisicità si è rischiato) di toccare, abbracciare, baciare… Ripassatela anche voi, e magari commuovetevi ancora una volta (io piansi tanto a suo tempo), la più bella lezione mai scritta in materia: la sequenza finale dei baci “censurati” di “Nuovo Cinema Paradiso”. Per non dimenticare come si fa. E colmare il vuoto di tutti i baci fino ad oggi perduti… https://www.youtube.com/watch?v=AUFvpgDbFN0

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