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    …. e la morte?

    Adesso che l’eco della grande indignazione si è un po’ affievolita e qualcuno ‘insospettabile’ ha potuto chiarire che un funerale non è un reato, e ben altra cosa sono i reati da perseguire… Alcuni bislacchi e un po’ distratti appunti, su funerali, zingari, musiche e carrozze. E’ naturalmente solo il punto di vista di un gatto randagio che si è chiesto, come si chiede in un suo bello scritto, che sembra di sentirlo, Ascanio Celestini: e la morte?
    Già. Forse mi è sfuggito fra tanto parlare, ma c’è stato, in tutta questa vicenda, un pensiero per la morte? La Morte. Che è momento tragico e assoluto. Pensiero come pochi rimossi dal nostro vivere contemporaneo e che, ci avete fatto caso?, sembra riuscire ad ottenere adeguata attenzione solo quando c’inonda attraverso l’amplificazione mediatica di morti ‘fuori dall’ordinario’. La fine di una star, le vittime di una strage, di una guerra, di un barcone in fondo al mare…
    Noi così bravi a commuoverci tutti insieme, al ritmo dei dettati di chi, per lo più di là da uno schermo, tira le fila e dosa le nostre emozioni quotidiane, decidendo cosa debba e cosa non debba nutrirle. Noi che siamo diventati così bravi ad abbandonare alla solitudine chi muore, diciamo così, nell’ordinario. Noi che non insegniamo più i nostri figli a soffermarci sul volto dei nostri morti “che magari c’è chi troppo s’impressiona”…
    Ho pensato alla tristezza con la quale qualche giorno fa una mia amica mi parlava della fine di una vecchia zia “che neanche la si è portata in chiesa”. Ma forse non erano più tanto cattolici, ho avanzato il dubbio. “Non so… ma neanche un momento, un pensiero d’affetto collettivo…”. Almeno la preghiera di un sospiro insieme… Già. La “solitudine del morente”, dei tempi che corrono. E oggi, perdonatemi, non riesco a non pensare alla solitudine terribile delle sette persone che solo in questo mese si sono tolte la vita in carcere, e del mortale silenzio ( dei giornali, delle tv, dei commentatori, dei politici) calato su di loro. Mentre ho fatto un sobbalzo l’altra mattina ascoltando alla radio qualcuno ( mi è sfuggito il nome ma certo persona deputata a parlare visto che una solerte intervistatrice chiedeva se nessuno pagherà per quel funerale con petali…) che sottolineava come la dice lunga, sui ritardi nel contrasto al crimine, il fatto che il capofamiglia dei Casamonica sia “morto a casa sua…”. Che scandalo!… Condanne a parte, già vedo all’orizzonte una nuova modalità di esecuzione della pena: senza conforto alcuno e nella maledizione si muoia sulla branda di una cella!
    Forse appartiene al passato il funerale dello scandalo romano. Non so. Sicuramente appartiene a una realtà dove fortissimo è il senso di appartenenza alla comunità. E dove forse si muore un po’ meno soli.
    Scandalo o non scandalo, leggo sul sito de ‘L’Arena’ che una cerimonia molto simile si è svolta qualche mese fa a Bovolone, paese a sud di Verona. I funerali dell’esponente di una famiglia di sinti. Anche lì strade bloccate, processione a piedi, tappeti di petali profumati cosparsi sull’asfalto che, sapevate?, sono per farvi camminare la persona che va via. E per la musica, pensate, c’era al completo la banda comunale. Uno spettacolo unico, assicura commosso chi vi ha assistito. Con quella bellissima carrozza trainata da cavalli neri… L’attento cronista del giornale veronese nota che il cocchio, praticamente uguale a quello che abbiamo visto a Roma, era una vera opera d’arte. E, ci informa, appartiene a un’impresa funebre di Piedimonte Matese, centro in provincia di Caserta.
    Mi chiedo se è la stessa che un pomeriggio di tanti tanti anni fa mi ha inchiodata a tremiti di stupore ed emozione proprio nelle vie di Caserta ( vengo da quelle latitudini). Mi sembrarono, soprattutto, quei bellissimi enormi cavalli neri che la trainavano, a stento tenuti a freno dal cocchiere, venuti da chissà quale mondo ultra terreno, verso il quale fremevano di tornare. Ricordo pensai, piccolina, che forse in groppa a quegli splendidi animali meno timoroso sarebbe stato il passaggio dall’altra parte.
    Quattro cavalli scalpitanti e musica. Molta molta musica. Perché non si può andare via da soli e nel silenzio. Qualsiasi cosa ci sia poi di là, qualunque sia stato il proprio destino da queste parti, che a volte sa proprio essere crudele…
    Ricordo, un altro funerale zingaro. Anche questo molti anni fa. La cerimonia per una piccola zingara, che un orco aveva ucciso. Ben altro tenore. L’accampamento piccolo e poverissimo e gli occhi persi di una donna che mi sembrò vecchissima, ma i volti di quelle donne, si sa, si rigano in fretta. La famiglia aveva voluto per quella bambina, così atrocemente morta, un abito da sposa e la pensai, la ragazzina, come una bambola, di quelle affogate nel tulle che trovavi una volta nei mercati o alle fiere. E ci fu poi il corteo, con la banda di musicisti. Ricordo come fosse ora la fila di ombre sul profilo dei campi della periferia romana, in un pomeriggio lattiginoso, che non era ancora primavera, e quella musica… Sembrava la scena di un film di Tarkovskij.
    In un affascinante libro sulla musica primitiva, Marius Schneider racconta del dio venuto fra gli uomini per insegnare i riti e i canti necessari per percorrere la scala che porta dalla terra al cielo. La musica… Dovremmo averla tutti una musica sulle cui note alla fine scivolare via.
    Il resto, lo sappiamo, sono cose che servono soprattutto ai vivi. Perché loro, i morti, è risaputo, solo per poco si interessano ancora a noi. Magari il tempo di vedere dall’altro punto di vista l’effetto che fa. Poi piano abbandonano desideri e rimpianti, dimenticano le gioie e i dolori, e svaniscono…
    Lasciando a noi l’accapigliarsi sulle cose della vita. Perché, parola del principe De Curtis…“ Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive: nuje simmo serie… appartenimmo â morte!” ( serve la traduzione? ndr).

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