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    La morte in carcere

    lettera secondiglianoAscoltando il mare, che oggi stride, di una musica stonata…
    “Qualcosa avranno pur fatto… avranno pur fatto… pur fatto…”
    Ritorna stridente il mantra di un’obiezione che sento spesso fare, davanti a mie insistenze nel raccontare di storie che vengono da quel mondo buio che sono le nostre carceri. Certo, qualcosa avranno pur fatto. E certo “è facile immaginare la galera per chi ha commesso un reato ma, entrare in una sezione e vedere le persone recluse peggio degli animali, mi ha restituito la barbarie di cui è ancora capace l’umanità”… parole di Sandra Berardi, che dopo aver visto quello che ha visto ha sentito l’urgenza di creare un’associazione per i diritti dei detenuti, Yairaiha. E chissà che qualcosa non abbia visto anche Beppe Grillo se, come a sorpresa, riprendendo il pensiero del criminologo norvegese Nils Christie, arriva a parlare di carceri come “struttura progettata per infliggere legalmente dolore, uno strumento di controllo sociale e un vero e proprio business”. E vedremo se qualcosa per li rami del parlamento ne discenderà…
    Ma oggi la realtà è quella delle tante denunce, di condizioni estreme, a cui non è possibile non pensare, dopo aver saputo della scarcerazione, per motivi di salute, di Dell’Utri. Bella notizia, certo, peccato che per chi non abbia un nome con la sua risonanza, e avvocati e disponibilità economica, c’è da raccontare tutt’altra storia… E sono storie terribili.
    Non per rovinarvi la domenica al mare, ma perché forse, se liberi dalle ansie quotidiane, magari si apre lo spazio di un pensiero che non si fermi a “qualcosa in fondo hanno fatto”… questa storia ve la voglio raccontare, così come l’ho sentita dalla voce rotta dal dolore di Damiano …
    Suo fratello Cosimo, Cosimo Caglioti, è morto il 23 maggio scorso nel carcere di Secondigliano. Aveva trent’anni. In carcere con una condanna pesante, questione di faide del vibonese, raccontano le cronache locali. Qualcosa avrà pur fatto… già, ma non è certo motivo per morire, a trent’anni, in un sistema che fa raccapriccio…
    “Mio fratello- racconta Damiano- soffriva di epilessia da anni, patologia al momento curabile. La situazione si è aggravata mentre si trovava nel carcere di Cosenza, tanto che lì, dopo un’ulteriore visita, si stabilisce che non può stare. Il suo regime non è compatibile con lo stato di salute di mio fratello. Ma è l’inizio della catastrofe, Cosenza chiama il carcere di Parma (meglio attrezzato per le cure) che lo rifiuta, viene chiamato Secondigliano che lo accetta”.
    Lo accetta, ma qui la situazione peggiora e i familiari che vanno a trovarlo dopo due settimane … “lo trovano in condizioni DISUMANE che solo a udirle si accappona la pelle… Mio fratello si trovava da tre giorni su una barella nel corridoio dell’ospedale, imbottito di psicofarmaci e sonniferi… tre giorni in ospedale e poi rimandato in carcere”
    L’accusa è tremenda: “… e parlo di negligenza perché è stato lasciato morire… mio fratello non poteva stare solo, era scritto in cartella clinica, oltre che negligenza c’è la crudeltà…”
    Per Cosimo i legali avevano presentato istanza di scarcerazione per motivi di salute. E arriva una perizia medica (fatta su incarico di tribunale) che ritiene necessario il ricovero in istituto specializzato “per un iter diagnostico e terapeutico” ma…
    “Questa perizia è stata depositata in cancelleria poco dopo la morte di Cosimo… Cosimo è morto alle 13.00, la perizia è stata depositata alle 13,30, mentre il carcere ha comunicato la morte di mio fratello alla caserma di competenza alle 22:20 circa. Perché tutte queste ore di silenzio? Perché siamo stati noi a dover chiedere di fare un’autopsia? Ci sono dozzine vi domande da fare…”
    Damiano, con il suo dolore, intuisce, immagina, quello che oggi testimonia una lettera, che arriva dal carcere di Secondigliano, dai compagni di detenzione di Cosimo, sconvolti anche loro…
    “Già da qualche mese si era sentito male ed era stato soccorso in sezione, stamattina alle ore 06 il detenuto Caglioti Cosimo stava male, suonava il campanello di allerta, che risultava staccato e già da alcuni giorni… chiamato l’assistente di turno in sezione solo verso le ore 9 è stato visitato ma rimandato in sezione subito dopo. Avvisava dolori e si è adagiato in branda. Alle 12,30 alcuni compagni di sventura si sono avvicinati per vedere come stava, ma non dava segni di ripresa. Tutta la sezione si è precipitata, qualcuno cercava di rianimarlo, altri chiedevano, gridando, all’assistente di turno l’urgenza di un medico. E’ arrivato l’assistente che ha chiamato l’infermeria, dopo svariati minuti è arrivato l’infermiere con una siringa… ma avvicinatosi al povero ragazzo con molta calma visto che non dava segni di vita ci ha chiesto di scenderlo giù a braccia… (…) dico di più, chi ha portato giù il ragazzo si è accorto che il defibrillatore era chiuso a chiave e hanno dovuto chiamare la guardia con le chiavi prima di poterlo utilizzare…
    “Purtroppo questi brutti episodi sono ormai all’ordine del giorno… persone che si tolgono la vita, persone che aspettano visite ospedaliere da mesi, persone che muoiono per indifferenza e mancati soccorsi come oggi. Questo brutto episodio, che porteremo sempre con noi, in 50 possiamo testimoniarlo, anzi mi correggo, oggi in 49…”
    Cronache di ordinario medioevo…
    Damiano e la sua famiglia hanno presentato un esposto e aspettano risposte alle tante domande.
    “Non si può morire così, a trent’anni -ripete Damiano-. Sarà non solo la mia battaglia, ma di tutta la mia famiglia e lotterò per tutti coloro che si trovano in quei luoghi di sofferenza che delle volte diventano punitivi in modo smisurato, dove la gente viene umiliata costantemente, com’è successo a mio fratello…, dove si perde ogni diritto di persona …
    “Chi sbaglia in qualche modo deve pagare, ma tutti devono avere una seconda possibilità e se un cittadino è detenuto è responsabilità dello Stato garantirgli le cure adeguate, non lo dico io ma la nostra Costituzione”.
    Leggete questo appello, che pure tante cose spiega, che l’associazione Yairaiha ha rivolto al presidente della Repubblica per la scarcerazione delle persone detenute con gravi patologie, per permettere loro di curarsi (volendo potete anche sottoscrivere…)
    https://www.facebook.com/notes/associazione-yairaiha-onlus/appello-per-la-scarcerazione-di-tutte-le-persone-detenute-gravemente-ammalate/945700878924035/
    Non sarebbe atto particolarmente rivoluzionario (basterebbe applicare la legge) permettere di curarsi, anche a chi “qualcosa avrà pur fatto”…
    Nota personale. Per capire, per cercare risposte ai mille “perché” che mi si affollano da quando un po’ di carcere conosco, quest’estate mi sono assegnata un compito. La lettura di Diritto e Ragione, di Luigi Ferrajoli. Sono solo all’introduzione, ma una cosa è subito chiarita: “Il diritto penale, per quanto circondato da limiti e garanzie, conserva sempre un’intrinseca brutalità che ne rende problematica e incerta la legittimità morale e politica”. E, ancora, “la pena, comunque la si giustifichi e circoscriva, è una seconda violenza che si aggiunge al delitto e che è programmata da una collettività organizzata contro un singolo individuo”.
    Una collettività organizzata contro un singolo individuo… Un rapporto di forza, se ci pensate, che già da solo è violenza immane, disperante…

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