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    un indizio…

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    …. e il primo indizio, alla ricerca delle storie che i negativi della valigetta custodiscono, è una preghiera. Su un foglietto ingiallito come il tempo. Una litania, per la precisione, in onore di San Quirino. Quirino che fu tribuno romano e incontrò la fede nei volti di S.Alessandro e S.Hermès, qui souffraient pour la fois, e che in  prigione lo battezzarono. E per la sua nuova fede venne decapitato e divenne quindi martire anch’egli… Un culto che si diffuse in Italia, in Germania, in Belgio, appunto… Le reliquie di San Quirino, venerate nella chiesa di Saint Bavon à Zellick, vicino Bruxelles.  Fedeli di San Quirino, quindi, dont le corps mutilé, ayant été jeté pour la nourriture aux chiensa, fut enlévé par quelques chrétiens courageux et enselvi dans le cimitière de Prétextat

    Iniziando da una litania ingallita, dunque,  Imprimatur: Mechliniae, 26 Julii 1927…

    Sorprese…

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    e un saluto di benvenuto a giugno… arrivato con una valigetta dei tempi andati… una di quelle borse dal fascino antico, un pò vintage verrebbe da dire, trovata da un’amica sul banchetto di un mercatino di una città del nord d’Europa… Sì, ha fatto un bel viaggio, da Liegi a Roma, prima di schiudersi e regalare una piccola sorpresa… una bustina, ingiallita, di quelle con cui un tempo i fotografi consegnavano i negativi delle foto… con dentro tutti i suoi bei negativi…. che, frugati in controluce, rivelano immagini … di una coppia, di genitori, di figli, di una corsa a cavallo, di una festa ( comunione, battesimo, matrimonio?) di un tempo così lontano…. 1946, e giù di lì, le date. Negativi, chissà, dimenticati, e che ora sono qui, nel cassetto di questo mio tavolo… con tutte queste persone, e le loro storie… che aspettano di essere raccontate…

    chissà…

    addio a maggio

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    Addio a questo maggio… alla sua luce e al suo cielo schizzati, alle sue giornate ogni giorno di un passo più lunghe, già pronte a ritrarsi verso il buio, al suo correre e rincorrere senza tregua il tempo delle parole arse, e neanche un attimo si è fermato ad ascoltare il tremore della terra…

    Cafè danzante…

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    “Mi piace avere un camino in casa e vedere il fumo che esce dal camino, la mia villa la voglio così…” “ i peperoni quando li cucino io, li lascio cuocere piano piano… poi li sistemo in un piatto e quando arrivano i miei fratelli se li mangiano di gusto…” “sto bene in compagnia e mi piace la musica. Guarda come sorrido…”

    Ascoltando, le parole di Enrico, Lina, Liliana,  che si incontrano all’Alzheimer Cafè, a Milano, quasi un’isola in città… E “Un’isola in città, per non sentirsi più soli”, è il titolo di un libro della Fondazione Manuli, che di Alzheimer appunto si occupa. Un testo che può aiutarci a capire qualcosa di più del mondo dell’alzheimer, quel mondo che così spesso imprigiona malati e famiglie, nelle maglie di una rete fatta di solitudine, parole perdute, e identità smarrite…  Un libro che è anche un invito ai momenti di leggerezza e di normalità che all’Alzheimer Cafè è possibile trovare, per cercare di ricostruire quel filo spezzato… per attenuare la tristezza per quello che non c’è più… Se funziona? Alcuni familiari raccontano che le giornate trascorse all’Alzheimer Cafè restano nella memoria delle persone, anche se si tratta solo di memoria emozionale. Leggere per credere. Leggere anche per capire questo mondo con cui queste nostre popolazioni che invecchiano sempre più devono pur fare i conti… Un libro da leggere anche per scoprire che qualche volta può accadere un piccolo miracolo…  Come quello che è accaduto a una coppia di ex ballerini, cui la malattia aveva portato via la memoria del loro passato danzante… Eppure, eppure… sollecitati negli incontri di quest’isola in città, si sono ritrovati all’improvviso a ballare, sull’onda emotiva della musica. A ballare, ballare con la classe di una volta… Leggere per credere. O magari anche andare a vederli…

    www.fondazione-manuli.org

    fiori di cactus

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    (… ) D’altra parte Maritè mi aveva avvertito che i fiori di cactus sbocciano la sera e sono già morti la mattina seguente. Poi per un anno intero, o più, non ricordo quanto, le loro piante possono offrire solo spine sterili. Non mi aveva spiegato ( se mai un giorno dovessi rivederla glielo rimprovererò) se tutto il resto del tempo per la pianta di cactus è solo rimpianto e attesa di quell’unico fiore. Una corolla bianca, enorme e carnosa. Fu la prima cosa in cui inciampai la mattina dopo nella cucina del mio appartamento. Un attimo prima che si richiudesse su se stessa. Feci appena in tempo a notare che un minuscolo ragno aveva tessuto fra gli stami una sottile ragnatela. (…)

    autocitazione, da “Maritè“, ed Vallecchi, pag.31

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    Un pensiero a Brindisi… scoperta appena qualche mese fa. Alla sorpresa della sua luce, luce del sud che a volte qui si dimentica, alla sua vita e alla rinascita delle sue strade e delle sue piazze bianche di nuovo restauro, al fascino di una lezione di musica e di canto e di parole, nella scuola di jazz alle spalle della piazza del Duomo…  alla bellezza della sua porta d’oriente, le due colonne affacciate sul mare, anche se adesso di colonne ne rimane una soltanto… Un pensiero a Brindisi, al suo lutto, al lutto in cui precipita tutto il paese l’atto di terrorismo feroce che questa mattina l’ha squarciata…

    lungo la strada…

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    Lungo la strada che si allontana verso la periferia della periferia, via via fin verso l’anello del raccordo, dopo il ponte che passa sul fiume, dopo le case di lamiera che vi scivolano dentro, dove la collina nasconde una villa, dove qua e là compaiono capannoni, dove i prati… dove i cigli della strada che accompagnano il binario fioriscono oggi di pruni… appena prima che i nastri d’asfalto s’intrecciano… … sono ricomparsi, sotto i ponti della consolare… tracce di vite che sono brandelli d’oggetti di cose di casa… tre coperte allineate come illusione di letti…  una è rossa e sembra fiore di quadro cubista… una sedia zoppa e utensili confusi… e un fagotto di plastica bianca e un fagotto di plastica azzurra… come lasciati da qualcuno uscito la mattina in fretta, dimenticando di chiudere la porta di casa…  che casa non è…

    un invito…

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     “Alla rotonda prendi la direzione per ASTI/ALBA. Dopo alcune centinaia di metri incontri un’altra grande rotonda (davvero grande). Qui segui la direzione per RIVA PRESSO CHIERI.  Ora sempre diritto fino alla chiesetta di Borgata Madonna della Rovere con spazio per sostare. Metti le spalle rivolte all’ingresso della chiesetta; sulla destra c’è una viuzza. A 50 metri (secondo cortile) c’è Cascina Macondo di Anna e Pietro. e questa da anni è la casa dove nascono consulènze e laboratòri multimatèrici di manipolazione dell’argilla, affabulazione, scrittura creativa, lettura sinestètica ad alta voce, dizione, danza e percussioni, poesìa, voce, ascolto, per  persone con handicap e disabilità lieve, per bambini, adolescènti, adulti, famiglie…. Oggi siamo qui, nella cascina di campagna, domani potremmo essere in un giardino, in una scuola, sul sagrato di una chiesa, al capolinea di un tram ….  Con tutto il nostro amore per le risorse e le possibilità espressive che il mondo dell’handicap possiede spontaneamente. e noi vogliamo far scoprire la bellezza che le persone con disabilità  sanno produrre con il loro linguaggio verbale quasi onirico. …
    Scoprire la spontaneità e la freschezza straordinaria delle loro parole messe in fila come perle che commuovono e catturano dipanando poesia con naturalezza. La poesia e il mondo immaginifico che l’handicap è in grado di esprimere sono un tesoro e una ricchezza così bella e importante che la normalità si priva davvero di grandi emozioni nel non scoprirla, conoscerla, frequentarla.

    “Grande Spìrito,
     presèrvami dal giudicare un uòmo
    non prima di avér percorso un miglio
    nei suòi mocassini” (…)

    suicidi…

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    … e a proposito di suicidio e di suicidi, che qua e là spuntano intorno, che affondino radici nel pubblico dissesto o nel privato sconforto… un’autocitazione che spero sarà perdonata…

    “(…) Ho cercato di immaginare come il baccano intorno gli fosse diventato insopportabile. Ho immaginato i momenti in cui avrà invocato il silenzio assoluto, che è cosa solo della morte. È allora, mi chiedo, che il suicidio diventa l’ultima speranza? Per sottrarsi al troppo rumore? O al troppo dolore? O quando non si è capiti? O per conquistare infine la libertà? O aveva creduto che per lui fosse arrivato il momento di scontare la pena. Per quel fantasma che gli assediava la testa, scomposto in mille figure che gli soffiavano nelle orecchie, frammenti blu che danzandogli intorno gli dicevano che per ognuno di loro aveva una colpa di cui non sarebbe stato facile liberarsi. Che pur appartenendo ad un altro mondo avevano definitivamente sconfinato dalle loro terre per invadere il suo, di mondo. Nessuno ha ancora inventato calmanti da somministrare ai fantasmi perché si zittiscano una volta per tutte. Avevano continuato a tormentarlo e spaventarlo, immaginavo. Finché avevano vinto loro. Portandoselo via. O era talmente stanco di averne paura che si era ucciso per ucciderla, quella maledetta paura? (…) “

    da : “Angela, Angela, angelo mio, io non sapevo” ed Stampalternativa.

    Se ti abbraccio non aver paura…

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    Sai qual è l’unica mia paura? se ci perdiamo non ci troveremo più. cosa ne pensi?- sto vicino a papa/// e se ti perdi, e non mi vedi più cosa fai ?- muoio. /// non è che muori subito. prima di morire cosa faresti? – guardo in giro… ///ma se ci siamo persi e non arrivo, viene la notte,cosa fai ? – Dormo seduto al bar.. e aspetto…

    E’ un brano di una conversazione digitata al computer fra Franco e Andrea, padre e figlio, e Andrea è autistico. Insieme hanno attraversato l’America, e il diario di questo loro incredibile viaggio è diventato un libro: “Se ti abbraccio non aver paura”, dell’editore Marcos y Marcos, attraverso la penna di Fulvio Ervas. Che per tanti, forse anche confusi motivi, mi ha detto, ha deciso di scrivere questa storia, che le è stata in qualche modo consegnata dal padre di Andrea, Franco Antonello. Innanzitutto è stato, questo, l’incontro tra due padri, in un momento in cui Ervas era alle prese con le pene d’amore della figlia, certo tutt’altri problemi, ma… e poi Ervas insegna, ha avuto ed ha fra i suoi studenti dei ragazzi autistici, ne conosce, dice, il fascino. Così, qualcosa di molto profondo è scattato quando, la prima volta, ha sentito la storia di quel viaggio, di quella sfida, contagiato subito dalla forza, dall’energia, dal coraggio, dice, di quel padre… (…)