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    Verso dove? – 13

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    Venti anni e circa uno, due giorni fa, a berlino… Appunti…

    10.12.BerlinKleist Park, il Palazzo del Controllo Alleato.  Qui nel settembre del 71, le quattro potenze vincitrici firmarono l’accordo  che stabiliva  che Berlino non apparteneva alla Repubblica Federale, anche se ne  confermava il legame molto stretto. Domani, 11 dicembre 89, ad un mese dall’apertura delle frontiere, si riuniranno ancora. La richiesta, probabilmente, e’ partita da Mosca. Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Urss hanno all’ordine del giorno i problemi aereonautici. La gestione dei corridoi aerei, del cielo sopra a Berlino. Ma e’ evidente che il dopo Muro sara’ in primo piano. E’ probabile che un giorno di discussione non basti. Piu’ in la’,oltre la Porta del Brandeburgo, il simbolo della divisione che ancora non cade, sta finendo il primo giorno dopo il congresso straordinario della SED. Il nuovo segretario Ghisy promette ancora un socialismo umano e democratico. Una societa’ senza classi, e un partito come gli altri. I 2700 delegati, intanto, lavorano sulla bozza del nuovo statuto, che presenteranno  sabato, alla ripresa del Congresso. Quando il vecchio partito per l’Unita’ Socialista Tedesca dovra’ darsi un nome nuovo e ricominciare da tre.

    Verso dove? – 12

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    Ritornando a Berlino, e riaprendo il taccuino di Daniela Morandini, alla pagina di esattamente venti anni fa.

    Berlin 9.12.89

    Palazzo dello sport della Dynamo, a Weissensee, all’Est. Lontano dal centro, dai palazzi del potere, 2700  delegati del Partito per un congresso piu’ che straordinario, convocato ancora prima del previsto. Messo in piedi in due giorni. Provando ad usare metodi democratici. C’e’ il pubblico che ascolta. Gli applausi non sono controllati. Ci sono microfoni e telecamere. E’ la prima volta. Il primo ministro Modrow e’ tirato. E’ uno che al socialismo crede ancora. Vuole un direttivo contro lo sbandamento. Non parla piu’ di Comitato Centrale. Non parla neanche della riunificazione tedesca. Gli applausi sono tanti. Adesso questi 2700 delegati devono eleggere il successore di Krenz e fare i conti con le richieste dell’opposizione: riforme economiche, nuova  costituzione, nuova legge elettorale. Ma,soprattutto, qui si deve cambiare il Partito. E dietro agli applausi, le decisioni ci sono. C’e’ chi vuole un partito nuovo, socialdemocratico, e chi vuole ancora un partito comunista, ma senza stalinismi. Ma gli schieramenti ancora non si vedono. Fuori da qui ,c’e’ meno tensione. Soprattutto dopo che la procura generale ha aperto un procedimento contro il vecchio segretario della SED, Honecker, l’ex primo Stof, l’ex capo della sicurezza Milke, l’ex viceprimonistro Cleiber, e i due membri del Politburo Wolikowsky e Axen. Tranne  Honeker e Axen, molto malati, tutti gli altri  sono finiti in carcere.

    Ripensando, al 5 dicembre

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    Il discorso di Alessandro Gilioli dal palco del NoBDay. Vale la pena di rileggere.

    Presidente Berlusconi, noi oggi siamo qui a darle una notizia: lei è un uomo del secolo scorso. Siamo qui a comunicarle che lei è un uomo del tempo in cui bastava avere tre o quattro televisioni per imporre un modello culturale, un sogno fasullo, un partito creato a tavolino in una concessionaria di pubblicità. Un uomo del tempo in cui comunicazione voleva dire pochi grandi proprietari di mass media che potevano fare e disfare la realtà a loro piacimento, stabilire ciò di cui si doveva avere paura e ciò che si doveva desiderare. Un uomo del tempo in cui lei poteva entrare nelle case, nelle teste e nell’anima delle persone mescolando bugie e illusioni per modellarle secondo i suoi interessi prima economici e poi politici. Bene, presidente Berlusconi, noi oggi siamo qui a dirle che quel tempo è finito. Lo sappiamo, queste sera le sue tivù pubbliche e private faranno finta che noi non ci siamo mai stati, che oggi non sia successo niente e nessuno sia venuto qui a dirle quello che è già accaduto: e cioè che lei è diventato l’uomo del passato, è diventato l’uomo di un secolo che non c’è più.  Noi oggi siamo qui a comunicarle che il suo giocattolo si è rotto e non le servirà più a niente perché milioni di persone lo sapranno lo stesso, su Twitter e su Facebook, sui blog e su YouTube e in mille altri posti ancora di cui lei nemmeno conosce l’esistenza.

    Il colore Viola

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    5 dicembre. No b Day. Cosa marcia col corteo. Nel fiume screziato di viola. Colore della libertà. Colore dell’autodeterminazione. Dicono. Fermarsi a vederlo scorrere, in via Merulana. La nobile via Merulana, che unisce le due più belle basiliche di Roma. Arriva da Santa Maria Maggiore, scende verso San Giovanni. Da una finestra di un terzo piano, giusto al centro della via, qualcuno stende una bandiera arcobaleno, due finestre più a lato una sciarpa viola, forse un telo. Al secondo piano qualcun altro dirige verso la gente in strada degli altoparlanti, per regalare alla folla un suono di marcia e un canto di Intillimani del tempo che fu… E si applaudono a vicenda, le persone affacciate alla finestra e i gruppi affollati del corteo. Viola, colore della libertà. Della parola e del pensiero che non vuole briglie. Che uscendo dal luogo virtuale della rete, dice di essere carne e corpo e voce e che è ora di dire davvero basta alle urla afone del potere malato che ci sta soffocando… Per questa volta, forse, nel fiume in marcia, le teste sale e pepe e grigie non sembrano la maggioranza. Molti, moltissimi i giovani, e questo è già gioia. Pochissime le bandiere di partito, e questo è già speranza. Pochissimi gli slogan. E questo è già inizio di libertà.

    Io ci saro’

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    Una giornata in viola. Viola. Viola del pensiero.Colore di un fiore. Viola dunque: ” Il simbolismo di questo fiore deriva dal numero dei suoi petali: ne ha cinque e questa cifra è uno dei simboli del’uomo. La viola del pensiero designa l’uomo per ciò che gli è proprio: pensare; essa è scelta così per designare la meditazione e la riflessione”. Dal Dizionario dei Simboli , Bur Rizzoli. Un pensiero, sul colore di una piazza…

    A glimpse of Rome

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    A glimpse, of Rome, last weekend. Uno sguardo, che è un battito di ciglia. Per cogliere questo passo figurato di tango. Il tango, diceva Astor Piazzolla, è un pensiero triste che si balla. E questo pensiero è tutto qui. Nei passi inchiodati a un soffio da terra. Nel gesto delle ginocchia che si sfiorano, e chissà se di nascosto si toccano. Nel disegno rigido e morbido dei corpi. Nello sguardo attento di lui. Nel profilo nascosto di lei. Nella mano destra di lei, poggiata sul palmo della mano sinistra di lui. Nel braccio di lui che avvolge la vita di lei. E la stringe, come ad afferrare per l’ultima volta cosa già persa. IL tango, questo pensiero triste che si balla. E’ tutto nello sguardo della donna sulla sinistra. Che senza guardare guarda la coppia. O forse guarda solo il vuoto che la separa da loro. E tutto quello che sa di avere già perso. Struggente glimpse of Rome, di Eyal Baruk

    http://www.eyalos.com/1.html

    Appunti di viaggio – 7

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    Più o meno esattamente venti giorni fa. Marrakesh. Nel gomitolo di strade. Troppi gattini ammalati. Troppi asini straziati. Sotto pesi impossibili che curvano le zampe lì lì pronte a spezzarsi. Troppi morsi troppo grandi. E lingue gonfie e arse da troppa sete. Troppi uccelli in gabbie troppo piccole per almeno allargare le ali. Occhi sbarrati nel silenzio e gorgheggi disperati d’animali perduti. Troppi serpenti tramortiti. Troppo anche l’unica scimmietta al guinzaglio. Troppi ciechi per strada. Troppe donne agli angoli, mamme troppo bambine, bambine già troppo vecchie a chiedere l’elemosina di un dirham…

    Appunti di viaggio – 6

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    Esattamente, più o meno venti giorni fa. Marrakesh. E’ svegliarsi al mattino al canto degli uccelli del cortile di un riad. Dove mani silenziose accudiscono, puliscono, preparano. Dove ogni cosa è perfezione e armonia. E’ tempo tessuto intorno allo spazio cortese di un giardino di palme che è cuore della casa. Che è  luogo aperto allo spazio dell’aria. Che è via di comunicazione fra il dentro e il fuori, e parla direttamente con il cielo. Marrakesh, esattamente più o meno venti giorni fa, nel riad di un signore venuto da Parigi, è avviarsi nel giorno con il canto al mattino di Grieg, ritrovare sul comodino accanto al letto letture di venti e più anni fa, aspirare con l’aroma della frutta sciroppata il tempo lento di tutta la tranquillità del mondo. Prima di varcare la porta, e buttarsi nel gomitolo affollato delle strade…

    Caldarroste…

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    Pensiero d’autunno inoltrato. Seguendo il fumo e il profumo delle caldarroste. Da scoprire su un marciapiede di via del Corso. Sull’angolo con una delle strade che salgono verso piazza di Spagna. Il caldarrostaio è un uomo del Bangladesh, ha un berretto bianco da fornaio, e sta parlando al cellulare. E tutto questo ha un che di surreale, come l’odore delle castagne arrosto e il caldo delle braci. In un giorno sporco di afa, come tanti, in questo strano autunno avaro d’autunno. Ma poco più avanti, all’angolo successivo, è riprodotta la stessa scena. Il fornellone su cui arrostiscono le castagne, accanto un uomo, del Bangladesh (o dell’India? Ma per noi fa quasi lo stesso…) con un berretto bianco da fornaio, esattamente uguale a quello del caldarrostaio seduto poco più avanti… Tempo fa, in un articolo di un quotidiano che non ricordo, un uomo del Bangladesh parlava del suo lavoro, spiegando come veniva sfruttato… Vendeva caldarroste, pagato poche lire, dodici ore sulla strada, controllato a vista dal ‘datore di lavoro’. Che, per la cronaca, era un italiano. Lo stesso italiano, forse? Che ora ha messo in piedi l’impresa che trucca d’autunno questo mesto novembre …  l’ultimo travestimento della catena che sfrutta lavoro immigrato… ? Forse. Oppure no. Magari si tratta di una cooperativa di organizzatissimi immigrati. In ogni caso, sembriamo indifferenti anche a questo… e come tutto, senza un sussulto, ci scivolano davanti agli occhi anche queste figure…  improbabili statuine, che quest’anno prendono posto, nel presepe senz’anima del nostro Natale senza Natale.

    Appunti di viaggio – 5

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    Casablanca. Esattamente venti giorni fa.

    Venti giorni fa, ancora Casablanca. E’ ancora negli occhi lo stupore per la maestria dei 6000 artigiani che hanno lavorato alla Grande Moschea, alla gloria di un re che proprio non vuole essere dimenticato. Maestri da ritrovare nella precisa minuzia di giochi di colore. Da fissare in un punto qualsiasi, per perdersi nel vortice di geometrie dipinte. Di azzurro, verde, giallo, blu. Di incredibili voli di blu. Forse cobalto. E lasciarsi risucchiare come precipitando nello spazio di un magico caleidoscopio. Casablanca, esattamente venti giorni fa. Sono i tessuti di marmi, venuti da Venezia, insieme ai piccioni, che qui, al riparo degli intarsi delle volte, hanno deciso di vivere. In attesa, chissà, anche loro, della Verità che arriverà dal mare. Casablanca è la gente che nella notte, ancora calda, affolla bordi di fontane, viali di giardini, marciapiedi di polvere, e parla, e bisbiglia, e guarda in silenzio. In attesa, forse, che la notte sia lunga. Più lunga del giorno che verrà. E la notte si riempie di guaiti di cane straziato, di grida di un ubriaco disfatto e impazzito che qualcuno tenta di fermare,che qualcuno tenta di atterrare. E chissà per chi dei due, il cane, l’uomo, lo strazio si fermerà per primo. La notte è calda. L’uomo dopo un po’ viene portato via. Rimane il pianto del cane. Che non smette, neppure, quando il canto del muezzin chiama alla prima preghiera del giorno.