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    Home Blog Pagina 135

    L’inascoltato

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    … e dunque, la lettera che Sebastiano Milazzo scriveva circa un mese fa, al Magistrato di Sorveglianza di Spoleto, al Presidente della Repubblica, al Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Perugia, alla Direzione della Casa di reclusione di Spoleto, alla Direzione del DAP…

    Premesso, di aver chiesto ininterrottamente da anni un trasferimento nel carcere toscano. Le motivazioni addotte alle mie richieste ritengo avrebbero meritato una seria verifica in quanto si sono sempre basate sull’ispirazione di creare le premesee per non far crescere i miei figli in Sicilia, ma in Toscana, una terra dove avrebbero una casa, un lavoro e la possibilita’ di realizzarsi, in quanto li’ vivevo io sin dal 1970 e vivono da sempre mia madre e mia sorella, la cui presenza e vicinanza poteva rappresentare, in assenza del padre, il miglior punto d’appoggio, per una nuova prospettiva divita dei miei figli. Altra motivazione riguardava l’eta’ di mia madre che e’ del 1928. L’eta’ non le consente piu’ di venirmi a trovare, soprattutto da quando ha subito due operazioni al cervello.  Erano queste le ragioni per le quali chiedevo di poter essere trasferito in un carcere della Toscana, cosi’ che la maggiore vicinanza potesse offrire maggiori occasioni di frequentazione, …

    Ritorsioni?

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    Ricevo e volentieri pubblico questo articolo di Susanna Marietti. Una voce da quella riva lontana di cui appunto ieri… dal sito linkontro.info

    “Alla fine di agosto, alla sede dell’associazione Antigone,arrivò una lettera, una di quelle antiche lettere di carta, di quelle che oramai arrivano quasi solo dalle galere, firmata da “gli ergastolani di Spoleto”.  Sotto questa dicitura collettiva diciassette nomi e cognomi scritti di proprio pugno. Il breve testo, indirizzato anche “agli organi di Stato e stampa” e per conoscenza al “tribunale di Sorveglianza di Perugia e al Sindaco del Comune di Spoleto”, denunciava il fatto che nel carcere umbro si intendeva raggruppare gli ergastolani a due a due allocandoli in celle originariamente singole. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, si diceva, aveva dato istruzioni in questo senso alla direzione del carcere di Spoleto. Una seconda brandina doveva essere aggiunta nelle celle dalle dimensioni adatte ad ospitare unasola persona. Gli ergastolani firmatari della lettera, “sicuri di morire in carcere”, riferivano di non avere alcun motivo di sottostare a una simile richiesta. Una protesta, insomma. E le proteste, si sa, in carcere si scontano.

    Contabilità…

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    Riprendendo, qualche cronaca dalla riva lontanissima delle carceri italiane. Che oggi vomita altri suoi due morti. Un suicida. Nel carcere di Ravenna. E’ stato trovato impiccato. Aveva 42 anni. Un altro morto ad Olbia. 52 anni, condanna all’ergastolo. Si ipotizza morte naturale. E chissà cosa c’è di naturale nelle 135 morti in cella, dall’inizio di quest’anno. Quel che c’è di vero, è l’ipocrisia di una pena di morte mascherata, che nessuno vuole chiamare con il suo nome. Ma si sa, è morte d’altri, magari di delinquenti, d’ergastolani…

    continuando… a proposito di streghe

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    …. perché la caccia alle streghe non è affatto finita. Leggendo. Della denuncia di Avdhash Kaushal, presidente di una Ong che si occupa di sostegno alle minoranze tribali. Che racconta delle cento e cento donne che ogni anno nelle regioni tribali dell’India muoiono, accusate di essere streghe. E sono nubili o vedove, prese magari di mira perché posseggono un terreno, qualche denaro… Accusate di stregoneria, accusa Avdhash, vengono torturate, linciate, umiliate davanti al villaggio. Qualcuna, per la vergogna, provvede da sé ad uccidersi… Almeno duecento, ogni anno, nelle regioni tribali, e non solo, dell’India.  E chissà quante altre ancora, in giro per il mondo. Un Noce, grande quanto la Terra, per accoglierle tutte, sotto i suoi rami…

    Pensiero d’ottobre

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    Un pensiero, imbattendosi nell’epitaffio del Noce. Sì, il Noce di Benevento, quello sotto il quale si radunavano le streghe… La storia dice che fu abbattuto per ordine di San Barbato nel 660, o giù di lì, ma sembra che poi sia rinato, e ancora rinato ogni volta che qualcuno abbia voluto abbatterlo. E ancora racconta storie… Anzi, a fare bene attenzione, si può ben capire che a raccontarle, le storie, sono sempre loro. Gostanza, Matteuccia, Orsolina La Rossa… E tante altre ancora. Raccontano e ancora urlano il dolore delle torture che le hanno soffocate. Scioglieteme che ve voglio dire el vero de ogni cosa... Scioglietemi, scioglietemi… Ma non bisogna angustiarsi. Ce ne sono ancora molte, libere per il mondo. Ne ho vista una, proprio l’altra notte, passare veloce. Sembrava fuggire da qualcosa di terribile. Volava. Sospesa al canto antico: Sopra l’acqua e sopra il vento, sopra ogni maltempo, portami al Noce di Benevento…

    La casa dei risvegli

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    Un pensiero. Alla Giornata dei risvegli. E a quella riva, così lontana, così vicina, sulla quale sembrano addormentarsi le persone che attraversano il coma. Luogo misterioso, il coma, chissà dove acquattato nello spazio e nel tempo. Luogo terribile, per chi, di qua dalla riva,  resta ad aspettare. Di cogliere un moto, un cenno, un battito di ciglia. Un indefinito e indefinibile fremito. Intraducibile per chi non sa, per chi non capisce cosa significhi vivere accanto a qualcuno che si ama, aspettandone il risveglio. I familiari, ci dicono, ne raccontano di storie. Di sussurri e grida, di dolore e gioie, che in qualche modo a loro arrivano da quella riva lontana. La medicina, ci dicono, non ha mai dato grande importanza a quei racconti. Ma forse è tempo, di cominciare ad occuparsene. Ed è quello che comincia a succedere, grazie alla “Casa dei risvegli, Luca de Nigris”, a Bologna. Dove ci si occupa anche di aiutare chi dal lungo sonno infine si risveglia, a riannodare i fili della vita così, a un tratto, drammaticamente spezzata. Un cammino non facile e lunghissimo, che ha bisogno in qualche modo del pensiero attento di tutti noi. Anche perché, ci dicono, se ci affrettiamo a dire “non c’è niente da fare”, quelli in coma siamo noi. E a pensarci bene questa è considerazione che vale per ogni cosa. Guardandosi un po’ intorno…

    Mamma Tammorra, dunque…

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    Una serata a Roma, per Mamma Tammorra. E sono arrivati da Caserta, per uno spettacolo annunciato per raccontare anche attraverso sonorità contemporanee e salti in luoghi lontani, l’antica cultura popolare campana. Uno spettacolo di musica, canto e danza. Che immagini danzato intorno al fuoco. A mezzanotte, immaginiamo, quando i sogni sono veri. Ma anche se sono appena le nove di sera, sul palco del Teatro Vascello a Roma, è davvero un incanto.

    Inizia, Mamma Tammorra, con la voce roca di Luca Rossi, percussionista, l’autore dello spettacolo, che, al centro della scena, con i suoi tamburi a cornice, conduce e tira le fila del gioco. La tammorra, spiega, è da tempo immemorabile la voce della Campania. La voce della Campania libera, dice. Ed è, nelle sue varianti, la voce antica dei paesi dell’area mediterranea. Voce che nello spettacolo viene rievocata, richiamata, rimiscelata. Diventa racconto che si fonde con il tempo dell’oggi. Perché Mamma Tammorra? Perché questa voce è femmina. Perché questo grande tamburo, spiega, è fatto di materiale organico. Tesa su telaio di legno è membrana di pelle d’animale. Che s’abboffa e sboffa. Come le donne lievita e sgrava… E l’auditorio ascolta e trattiene il fiato, già quasi ipnotizzato dal largo cerchio che percuote e carezza e solleva in alto, e ti fa credere che sia quasi una luna… E via, a guidare la sua orchestra, di flauti, violino, chitarre, fisarmonica, contrabbasso e batteria.  

    40 anni di Felicità…

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    Un pensiero. E infiniti auguri ai quarant’anni di Stampalternativa. Dall’autunno del 1970, quasi mezzo secolo di cultura, quasi mezzo secolo di controcultura (si dice ancora così?). Quarant’anni a raccontare, a volte, l’indicibile. Per un catalogo fitto fitto di storie scritte con il sangue ( si può dire così?). Pure, tessuto della leggerezza delle fiabe senza tempo. Un pensiero a Stampalternativa, e al primo regalo grande che ci ha fatto, mettendo in circolazione quel manualetto sulla felicità, che in almeno due milioni abbiamo letto. E molti di noi ancora conservano, come un breviario da consultare nei momenti peggiori. La Lettera sulla Felicità, intendo. Quella con la F maiuscola. Lettera di Epicuro a Meceneo. Epicuro, che “da ventitré secoli non cessa di dirci che non può esistere autentica felicità senza piacere. Un pensiero che, contrariamente a tanti altri, non ha mai fatto male a nessuno, che invita ad amare se stessi e soprattutto a rispettarsi, azione primaria per non danneggiare i nostri simili”. Parola di Marcello Baraghini.

    Mamma Tammorra

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    In attesa, che la notte si riempia di suoni. Al ritmo di tamburi, e fiati, e sospiri. Una notte per la Tammorra, icona del ventre materno. Da millenni voce del nostro sud. Invito a una serata di musica e danza, per un intreccio di sonorità mediterranee e ritmi urbani di questi tempi moderni. Per ritrovarvi, anche, l’eco di canti devozionali, serenate d’amore, danze estatiche. Una notte per invocare le streghe, forse… e chissà che non arrivino…

    Appuntamento a sabato 25 , quindi, alle 21, a Roma, al teatro Vascello, in via Carini nel quartiere di Monteverde Vecchio.

    Pensiero di metà settembre

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    “… e bastava un’inutile carezza a capovolgere il mondo…”. Parola di Alda Merini.