La prima cosa che fece, il lunedì, fu comprare lo specchio di cristallo. Lo scelse rotondo, con una sottile cornice argentata. Tornato a casa lo poggiò sulla scrivania e vi si sedette di fronte. Notò una piccola ombra di polvere e vi alitò sopra per pulirla via. Ebbe l’impressione che un alito caldo ritornasse a lui dalla superficie del vetro. Né riuscì a mandare via la macchia. Alitò ancora, e un soffio di aria ancora più calda gli investì il viso, prima perdersi nel corridoio alle sue spalle.
Decise allora di trasferire la scrivania, gli appunti, alcuni libri e una poltrona nell’ultima stanza dell’appartamento, dove d’estate andava a difendersi dallo scirocco.
Rosalia. Quasi una fiaba…10)
Rosalia. Quasi una fiaba… 9)
Non fu semplice trovare un paio di scarpette rosse. Impiegò cinque giorni di ricerche, e solo il venerdì le scovò in un piccolo bazar di periferia.
Sentiva che le forze cominciavano ad abbandonarlo. Non mangiava quasi più. Aveva definitivamente sospeso le lezioni e continuava ad ammucchiare sulla scrivania fogli e fogli di inutili, inconcludenti appunti. Persino il merlo sembrava aver pietà di lui. Continuava ad affacciarsi di tanto in tanto nel riquadro della finestra, ma senza più fischiare. Passò il piccolo corteo di un funerale davanti casa, il sabato mattina, e fu preso dall’ansia che arrivasse in fretta la domenica. Quando poté finalmente attraversare la città quasi ancora addormentata con sotto il braccio il suo regalo per Rosalia.
Rosalia. Quasi una fiaba…8)
“Troppo grande” gli disse Rosalia delusa, iniziando a piangere sommessa.
Senza aspettare che lei glielo chiedesse, si mise subito al lavoro, per scalfire la lettera l . Chi sei, chi sei, mormorò.
“Chi sono? Questa è quasi una buona domanda” lei gli rispose. “Sono chi hai voluto chiamare, ma sarei potuta essere l’entità confusa di ognuno”.
“uff…” sbuffò. “…se qualcuno si decidesse a ridurre tutto questo in cenere. Se ci lasciassero finalmente morire”.
“Chi sono?” la bambina fece un giro su se stessa come per rivolgersi a tutte le altre mummie.
Chi siamo? Qualcuno sembrò rispondere per lei. Siamo il passaggio sospeso in eterno. Siamo la fine, e questi corpi ci impediscono di finire.
Rosalia. Quasi una fiaba…7)
Domande sbagliate. Nei giorni seguenti non fece che ripetersi quel rimprovero. Saltò tutte le lezioni del corso, quella settimana. Con una scusa qualsiasi: influenza di fine autunno, mandò a dire. Una forma gravissima d’influenza, confermò ai compagni uno degli allievi che lo aveva incontrato sul finire del pomeriggio lungo i viali della villa. Pallido e smagrito. In quei giorni non riusciva a mandare giù nello stomaco che briciole di cibo, tormentato com’era dalla paura di non riuscire a trovare la formula giusta per la sua domanda.
Domande sbagliate… domande sbagliate…, gli fischiava nelle orecchie il merlo che da qualche tempo veniva ad affacciarsi sull’albero di limone e restava a fissarlo attraverso il vetro della finestra con la distratta ironia degli animali. Sbagliato… sbagliato … era il grido del barbagianni, la notte dal giardino sul retro della casa. Sbagliato. Sbagliato. Le sole parole che aggiunse ai suoi appunti.
Rosalia. Quasi una fiaba…6)
Cominciò con un omicidio quella settimana in città. Finì con la strada macchiata del sangue di un altro morto, il venerdì. La città sussultò, si agitò, si riacquietò. Il professore trascorse sei giorni solo nell’attesa della domenica. Sempre più distratto e a tratti assente durante le lezioni, trascorreva lunghe ore la sera alla scrivania, senza riuscire ad articolare alcun pensiero che non fosse l’immagine immobile del volto della bambina del sotterraneo.
Tornò al secondo appuntamento con la cintura nuova che Rosalia gli aveva chiesto.
La trovò seduta ai piedi della teca. Lei prese la cintura senza neppure ringraziarlo, la indossò e accomodò l’orlo della vestina appena sotto le ginocchia.
“Cancella la seconda lettera” ordinò la bambina.
Rosalia. Quasi una fiaba…5)
Dove dunque il luogo del passaggio? Osò.
“Dammi il nastro”, fece lei brusca. “E cancella almeno una lettera di quel nome”.
Il professore esitò.
“E’ un mio desiderio” insistette la bambina. “Tu sai che non si possono ignorare i desideri di chi hai chiamato”.
Ebbe un attimo di confusione, ma poi ricordò di avere in tasca come sempre un temperino e cominciò, lentamente, a scalfire l’ultima delle lettere incise sulla targa.
E la risposta?, chiese sollevando appena la testa.
Vide la bambina slegare il nastro rosa, che fra le sue minute dita subito si cancellò in cenere, poi sistemare quello nuovo e senza gioia contemplarsi nella trasparenza del cristallo.
Rosalia. Quasi una fiaba…4)
“Rosalia, poi. Non so se questo nome ora è il migliore per me. Forse mi piacerebbe essere chiamata Gaia. O Margherita. Mi piacciono i nomi dei fiori. Scriverai per me un nome nuovo?”
No. Non avrebbe distrutto con un gioco di sillabe l’essenza di quel miracolo.
“Non scriverai per me un nome nuovo!?” la bambina sembrò sull’orlo del pianto e lo fissò con rabbia. Poi con sfida: “ Immagino sei venuto qui per giocare con me”.
No. Per il momento non ne aveva il tempo. Era lì per alcune domande.
“Domande?! Ho anch’io tante domande e ancora nulla e nessuno…”
Ecco, il nulla, appunto. Il nulla di mezzo dal quale era arrivata. Dov’era il luogo…
Lei lo interruppe con uno sbadiglio annoiato: “Dormire. Voglio dormire…”
Rosalia. Quasi una fiaba…3)
Ora era finalmente davanti a Rosalia, come sempre immobile al suo posto, ben sigillata nella sua scatola trasparente.Rosalia. Ro-sa-lia!!! , sillabò con forza.Rosalia… Rosalia… Rosalia… il nome si infranse in spirali di suono che gli avvolsero il cervello. Poi sentì freddo.Molto freddo.“Che silenzio, oggi. Non c’è stata l’ombra di un visitatore. Neanche uno di quegli stupidi turisti curiosi. Solo tutti questi morti. E’ stata una domenica insopportabile!”. La voce proveniva dal corridoio alle sue spalle. Aveva un timbro a un tempo profondo e debole.Si voltò e lei era lì, seduta sul gradino più basso della nicchia a destra.
Rosalia. Quasi una fiaba… 2)
Ma tre anni di visite e riflessioni sottoterra non avevano partorito che confusi appunti. Ancora non si era avverato il prodigio per il quale avrebbe venduto l’anima. Vi pensò con sconforto mentre si avvicinava alla cripta dov’era la bara di cristallo della piccola Rosalia.
Rosalia. Il miracolo chimico che impediva a quel corpo di dissolversi in polvere l’aveva immobilizzata così: una bambola che si era appena addormentata. Sembrava ancora tiepida della carezza che le aveva sistemato il nastro fra i capelli. D’un rosa antico, come il morbido colorito del viso. La Bambina. Mai più viva e mai più polvere.
Negli ultimi mesi il suo interrogare e interrogarsi era diventato sempre più ansioso, come incalzato dalla fretta di chi sappia di essere vicino all’esaurirsi del proprio tempo. E uno strano stato di ipnosi si impossessava di lui ogni volta che si avviava all’appuntamento con le mummie dei Cappuccini.
Rosalia. Quasi una fiaba di Natale…
La scalinata era composta da tre rampe. Tre lunghe rampe per raggiungere i locali sotterranei. Calce bianca alle pareti e sul soffitto, basso da sfiorare la testa. Una sola feritoia all’altezza dei primi gradini, affacciata sul confine fra il mondo della luce e quello del buio. Un sottile riquadro che comprendeva un tratto d’erba, l’inferriata di un recinto, un’ala scolpita nel marmo. Vi lanciò un’occhiata, come sempre prima di proseguire lungo la seconda rampa, dove la luce era solo livido neon, l’aria a tratti fredda e a tratti infuocata. Aliti di morte e aliti di vita, pensò, mentre il respiro già sembrava fuggire via.
“L’accompagno professore? Neanche un visitatore, oggi. Scendo con lei?”
Il viso del padre guardiano s’affacciò dall’alto della scalinata, senza quasi più denti e sommersa di rughe. Più tetra della più tetra delle mummie, gli sembrò.