A proposito di rom, e di persecuzioni. Appena terminato di leggere un libro che sembra struggere fin dal titolo. Forse sogno di vivere. E dal sottotitolo. Una bambina rom a Bergen-Belsen. Rievocata, la bambina che è stata, da Cenija Stojka, cinquant’anni dopo. Ritrovando le parole della bambina di allora. Le parole dello stupore di fronte a una quotidianità fatta di violenze, di fame, di tormento, di immagini di morte che non si posso immaginare. Stupore rimasto intatto, cinquant’anni dopo, e non c’è traccia, nel racconto, di odio. Semplicemente un narrare lucido e ostinato, per chiedersi e chiedere, ancora: come è stato possibile? E testimoniare la volontà di vita. Pagine di una cantatrice, che come in un lamento senza lamento culla il ricordo di quei giorni, di lei, della sua mamma… Le sue parole, più di qualsiasi commento: “La cosa peggiore per noi era l’arrivo dei treni alle tre di notte.
Il lusso di sognare…
Buono come…?
Le parole. Capita ci si comporti davvero male con le parole. Con una certa distratta cattiveria direi… Come quando con finta indifferenza le si depriva a poco a poco del loro significato. Si comincia col distorcerne giorno dopo giorno, appena appena un po’, il senso. E poi chissà dove si finisce. Una parola, ad esempio, semplice e assai comune, come l’aggettivo, “buono”. Tanto semplice e comune che sembra non valga la pena di stare lì a perdere tempo per cavillare sull’uso che accade se ne faccia. Eppure… Sarà solo una questione di scuola e di pagelle, ma fa un certo effetto sentire il tono mesto di un bambino mentre “ammette” che in una certa materia ha preso “solo” buono. Solo? Sì, mi si fa capire, un giudizio davvero buono è “distinto”. Il massimo sarebbe ottimo, ma questa è un’altra storia. Ma “buono” è buono, viene da ribattere. “No, non molto”, la risposta. “Ora è così”. E non si sa che rispondere. E non si riesce a capire. Il cervello incespica. Non si diceva, ad esempio, “buono come il pane”?
Meriggiare…
“Meriggiare pallido e assorto/ presso un rovente muro d’orto,/ ascoltare tra i pruni e gli sterpi / schiocchi di merli, frusci di serpi/…”
Solo un pensiero, non trovando quiete nella notte afosa, a Montale, riscoperto, lungo un sentiero d’isola, in un giorno bruciato d’estate.
o la Balena
Era sembrata la cosa migliore. Per accompagnare il tempo dell’estate. Rileggere, o forse meglio leggere, “Moby Dick“. Per via di quell’immagine rimasta impressa nell’anima di animale immenso e pauroso, annunciato dal rombo sotterraneo, come suono di terremoto. E per via del ricordo di quell’odore di terra, comparso senza che comparisse terra. Perché solo questo ricordo. Ma basta a far tremare. Per questo, e per ritrovare la durezza che sopravvive alla morte. Già annunciata dal primo respiro. L’inizio dunque. “Chiamatemi Ismaele“.
La bella estate
Un piccolo di merlo, già abbastanza grande da poter stare ritto sulle rampette, ancora troppo piccolo per trovare nelle ali la forza per alzarsi in volo. Si guarda intorno, e chissà cosa vede. Sul marciapiede che il caldo già brucia, fra il riflesso della vetrina del negozio di scarpe e il buio della ruota dell’automobile parcheggiata a un soffio dal tronco annerito dell’albero da cui è caduto. Chissà cosa sente, come respira, fra i gas di scarico e l’odore bruciato dell’aria che già si rapprende. E chissà se qualcuno, dai rami scenderà a salvarlo… Sullo stesso marciapiede, sotto lo stesso alberello, dopo qualche ora. Una cane, sembra femmina, di bastardo di lupo. Con un collare che balla sul collo smagrito e assetato. Passa in un’improbabile corsa. Arrancando su tre zampe.
Perché non passi sotto silenzio
Forse mi era sfuggita. Questa notizia. Cercandola, la trovo solo nelle pagine locali di alcune testate on line. Forse frugando troppo in fretta. Forse già parlando troppo a bassa voce. Comunque ricevo, e rigiro, insieme all’appello del gruppo EveryOne.
Milano, Stelian Covaciu, Rom e missionario cristiano evangelico, subisce un violentissimo pestaggio, con insulti razzisti e minacce, da parte di due poliziotti in divisa. E’ ricoverato in ospedale. L’appello di EveryOne: “Che non passi sotto silenzio l’ennesimo atto di aggressione incivile”.
“L’odio razziale ha ormai contagiato Istituzioni e autorità. E’ necessario che le componenti antirazziste e antifasciste italiane e dell’Unione europea si impegnino insieme per fermare l’imbarbarimento della nostra società. Dopo l’aggressione avvenuta la mattina del 17 giugno nei confronti di Rebecca Covaciu – la bambina che si è aggiudicata il Premio Unicef 2008 per le sue doti artistiche – e dei suoi familiari, ieri sera, 19 giugno 2008, un altro pestaggio, ancora più violento e inquietante, ha colpito il papà di lei, Stelian Covaciu, missionario della Chiesa Cristiana Evangelica Pentecostale. E’ in prognosi riservata”…
…
Giorni muti… Trovo consolazione, forse, e possibili risposte, nella lettura di un libricino, di quelli deliziosi, da portare in tasca, e spigolarvi dentro, qua e là. L’Arte di tacere, dell’Abate Dinouart (il Divano, Sellerio, 1990). “E’ bene parlare solo quando si deve dire qualcosa che valga più del silenzio”, ad esempio. Oppure: “Mai l’uomo è padrone di sé come quando tace: quando parla sembra, per così dire, effondersi e dissolversi nel discorso, così che sembra appartenere meno a se stesso che agli altri”… e tanto altro ancora…
Ladri di biciclette
L’agenzia è scarna. Recita: “Un pensionato milanese settantenne e’ stato fermato due giorni fa mentre tentava di rubare una bici nei pressi di piazza Cordusio, a Milano. Prima indagato a piede libero, e’ stato nuovamente sorpreso ieri notte mentre tagliava la catena di una bici all’angolo tra via Gravina e via Sanzio. Questa volta l’uomo, residente in un dormitorio cittadino, e’ stato arrestato con l’accusa di tentato furto aggravato”. Notizia inghiottita in qualche sito, per lo più in pagine locali. Le stesse poche righe replicate, qua e là. E nulla più. Con buona pace di tutti. Come dopo aver segnato, e con una certa soddisfazione, un punto. Nella guerra che abbiamo dichiarato alla criminalità che minaccia il nostro vivere tranquillo. Eppure, almeno un pensiero. Ad un uomo chiuso in carcere a settant’anni. Per aver tentato, senza neanche riuscirvi, di rubare una bicicletta. E pensare a quella che potrebbe essere la sua vita. Ma ragionando con calma, e senza cedere a facili buonismi…
Pensiero di metà giugno
Guardandosi un po’ intorno.
“Ignoranza et arroganza son due sorelle individue in un corpo et in un’anima”.
Parola di Giordano Bruno, che delle spietate sorelle fu definitiva vittima.
Una poesia…
“Si chiamava / Moammed Sceab /// Discendente /di emiri di nomadi / suicida / perché non aveva più / Patria /// Amò la Francia / e mutò nome /// Fu Marcel / ma non era Francese / e non sapeva più / vivere / nella tenda dei suoi / dove si ascolta la cantilena / del Corano / gustando un caffè /// E non sapeva / sciogliere / il canto / del suo abbandono /// L’ho accompagnato / insieme alla padrona dell’albergo / dove abitavamo / a Parigi / dal numero 5 della rue del Carmes / appassito vicolo in discesa /// Riposa / nel camposanto d’Ivry / sobborgo che pare / sempre / in una giornata / di una / decomposta fiera /// E forse io solo / so ancora / che visse”.
In memoria , Salvatore Quasimodo ( Poeti Italiani del Novecento, Mondadori )