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    Viaggio all’inferno e ritorno, inseguendo Proserpina

    proserpina ratto(Dalla rubrica del Gatto randagio- Remocontro) Come tutti i gatti che si rispettino anche il Randagio a tratti si dilegua, senza spiegarne il motivo o dire dove abbia intenzione di andare a rincantucciarsi… Ma oggi ecco che ricompare, e quasi intimorisce vederlo riemergere da quel fondo di “solitudini distese”… perché non poteva che ritornare gravido di pensieri, sull’inverno che è andato, sulla primavera che arriva, e quale buio, e quale rinascita…

    E rieccolo, giusto ad Aprile… il più crudele dei mesi. Continua, il Randagio, ad essere d’accordo con il poeta, che sappiamo ne scoprì il segreto… quel generare lillà dalla terra morta, confondendo memoria e desiderio… mentre l’inverno fugge via dileguandosi con tutto quello che di te è riuscito ad arraffare approfittando del buio. E quest’anno ha fatto non poco bottino…
    E’ stato lontano qualche settimana, mi ha confidato il Randagio, per correre alle origini del tempo delle stagioni e cercare un senso alla promessa di rinascita che dopo l’inverno, come ci hanno spiegato, arriva. E così si è spinto, il Gatto, fino ai bordi del lago di Pergusa, in Sicilia, a due passi da Enna. Lì ha chiuso gli occhi ed è andato indietro indietro nel tempo, fino a quando ancora non esistevano estati, autunni, e inverni, ma solo un’eterna primavera…
    E chissà se forse erano anemoni, o violette bianche, oppure rose i fiori che Proserpina insieme con le compagne stava raccogliendo nel prato, nel momento in cui proprio lì, dove si aprono le bocche delle miniere, la terra si è squarciata e dalle viscere più profonde è saltato fuori Plutone, il signore dei morti. Che ha rapito la fanciulla e l’ha portata giù giù nel fondo…
    Per il gran dolore, e per vendicarsi, sapete, la madre di Proserpina, Cerere, ha voluto che la terra non desse più frutti, e per gli uomini è stata solo carestia, distruzione, e il pianto di un inverno senza fine.
    E immaginate il Gatto, nel buio di quell’inverno mentre tutt’intorno, mi ha detto, gli si affollavano in soffi voci…
    “Ideali amate voci”, ha sussurrato, rubando il canto ad uno dei suoi più amati poeti…
    “Ideali amate voci
    di coloro che son morti o come i morti
    sono per noi perduti.
    A volte ci parlano in sogno
    a volte esse vibrano dentro.
    E con il suono, per un istante l’eco fa ritorno
    della prima poesia di nostra vita-
    come lontana nella notte una musica si dilegua”.
    Ah, i paesaggi dell’anima di Kavafis…
    E ha rischiato di soccombere, il Randagio, fra irrimediabili nostalgie e il freddo di quell’inverno d’inferno, avvolto da tutto quel buio…
    Ma, lo sappiamo tutti, il signore dei morti ha poi dovuto restituire Proserpina alla madre e in quello stesso istante la terra è ritornata fertile e sono rifioriti i fiori e sono tornati a maturare i frutti. Anche se la primavera non è mai più tornata eterna… Perché quel bastardo di Plutone, prima che la sua sposa bambina salisse sul cocchio che l’avrebbe riportata alla luce, le ha offerto da mangiare alcuni semi di melograno. Lei obbediente ne ha mangiati quattro, ed il sortilegio è fatto!
    Il melograno, simbolo dell’amore e della fedeltà coniugale… Proserpina ne ha mangiato i semi nel regno dei morti ed è costretta dunque a farvi ritorno, ogni anno, per tanti mesi quanti erano i semi che aveva mangiato… Ed è stato così che, per volere di Cerere, nei mesi in cui la figlia fosse stata nel regno dei morti, nel mondo sarebbe calato il freddo e la natura si sarebbe addormentata… E sono arrivate le stagioni, con il tempo dell’autunno e il tempo dell’inverno…
    Si è dunque fermato a meditare, il Gatto, per tutte le settimane che non l’ho veduto, a chiedersi quanti semi di melograno avesse mangiato, dove e quando non avrebbe dovuto mangiarli, e ha pensato al ritmo delle stagioni, a quanto sarebbe durato il suo inverno, e quanto brevi sarebbero state le sue primavere, e quanto avrebbe ancora retto il veloce alternarsi del buio e della luce, e il tempo per vivere e il tempo per morire, che sempre più breve fa il tempo della vita, e se e quanto del suo tempo ha finora sciupato… Non ha trovato risposte, e sarebbe impazzito…
    Ma aprile, anche per lui, di nuovo è tornato. Così oggi, che lacrime di primavera ancora si ostinano a voler risvegliare sopite radici, “con questi frammenti ha puntellato le sue rovine”… E, mi ha promesso, per quel che potrà, tornerà a randagiare, incontrare persone e raccontarci quello che avessero da dire.
    Quindi, prima di piegarlo e nasconderlo in una fessura della parete della sua stanza (dove so va a riporre preghiere e desideri), mi ha fatto leggere un biglietto, con su scritta quest’altra poesia del suo impareggiabile Kavafis, che meglio non può esprimere l’impegno che credo si sia dato al ritorno dal suo viaggio in fondo al buio…
    “E se non puoi la vita che desideri
    Cerca almeno questo
    Per quanto sta in te: non sciuparla
    Nel troppo commercio con la gente
    Con troppe parole in un viavai frenetico.
    Non sciuparla portandola in giro
    In balìa del quotidiano
    Gioco balordo degli incontri
    E degli inviti,
    fino a farne una stucchevole estranea”.
    Che poi è quello che, salvo qualche momento di distrazione, posso testimoniare, ha sempre ha cercato di fare.

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