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    Contro la violenza sulle donne. Giovanni Farina, una voce dal carcere

    “Oh, guardatevi dalla gelosia, mio signore. E’ un mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre. Beato vive quel cornuto il quale, conscio della sua sorte, non ama la donna che lo tradisce: ma oh, come conta i minuti della sua dannazione chi ama e sospetta; sospetta e si strugge d’amore”…
    Iago a Otello, nel terzo atto della tragedia di Shakespeare.
    Trovo queste parole in apertura di “Femminicidio: da Otello ai nostri giorni”. E fin qui… ma forse vi stupirete nel sapere che questo libro è stato scritto da Giovanni Farina. Giovanni Farina, qualcuno lo ricorderà implicato nel sequestro Soffiantini (l’ultima zampata dell’anonima si disse allora…), che concepisce l’idea di questo libro alcuni anni fa, quando ancora era nel carcere di Catanzaro, e lo conclude mentre si trova a Firenze, durante il suo 40° (quarantesimo) anno di detenzione. Una vicenda giudiziaria molto complessa, la sua, iniziata con una detenzione per un reato da cui poi è stato assolto, poi due condanne per sequestro di persona, poi anche assoluzioni, 16 anni al 41 bis… ma non è dei quarant’anni trascorsi in carcere senza avere ucciso nessuno che vi voglio parlare, né della sua intricatissima vicenda giudiziaria. E’ che ha stupito anche me, che da anni ne seguo il calvario (perché non so come altro definire 40 anni di carcere senza avere ucciso nessuno…), che persona detenuta da così tanto tempo e che tanto ha scritto sulla sua vita, fra narrazioni e poesia, abbia sentito il bisogno di far conoscere il suo pensiero sulla violenza contro le donne.
    Il perché lo spiega lui, quarto figlio di sei, e quattro sono donne: “Sono cresciuto in un nucleo familiare formato in prevalenza da donne, e di mia coscienza non riesco a capire chi usa loro violenza. Nella mia famiglia, di origine sarda, le donne erano molto considerate. Lavorava fianco a fianco con l’uomo nella campagna e a questo si aggiungevano le fatiche della casa e dei figli. In Sardegna nei tempi passati in tutte le case c’erano delle statuine della donna-madre, in pietra o in osso, che raffiguravano l’ava fondatrice della famiglia, il genio tutelare della casa. C’era un grande rispetto per la donna madre e protettrice del focolaio familiare”. Un grande rispetto per la donna in quella che Giuseppe Dessì, come fa notare Serafina Mascia nell’introduzione al libro di Farina, ha definito “matriarcato clandestino”…
    Così, leggendo l’Otello, e poi inquietandosi per le notizie di uccisioni di donne che “attraverso la televisione arrivano anche dentro le mura del carcere”, è nata questa sua accorata riflessione.
    E riconosco, nelle pagine che da Otello e il suo delitto d’onore (perché non è amore né gelosia, ma delitto per l’onore offeso, si spiega…), passando per la storia di Olympe de Gouge, scrittrice ghigliottinata nella Francia della Rivoluzione, arriva a Ilaria Alpi e poi a Monica, Chiara… quella grande umanità che ho letto negli occhi di Giovanni quando infine, qualche anno fa, l’ho incontrato al Gozzini di Firenze.
    Non è la prima volta che, nell’incontro con persone con lunghe detenzioni, ascolto parole di grande rispetto e amore per le donne. “E’ perché non le hai potute frequentare abbastanza!”, mi sono permessa di scherzare tempo fa con altro detenuto. In carcere, sapete, è negato il diritto all’affettività. Che è barbarie che in Europa solo in Italia avviene. In Italia e in Inghilterra, ad essere precisi…
    Per questo a ridosso della giornata contro la violenza contro le donne, mi piace lasciare la parola a chi dal carcere vi ha profondamente riflettuto, che da maschio parli ai maschi, che sa riconoscere che il problema è culturale, non altro: “Molti uomini hanno ancora l’idea della femmina addomesticata al proprio volere. Com’è mediocre l’uomo che pensa questo e molte volte se ne vanta! Com’è più bello, stimolante, luminoso, il confronto sincero con parità di pensiero con la propria compagna che ti ascolta e ascolti! Com’è più vero, più simile alla vita un rapporto esposto al mondo, alle scelte soggette al mutamento. Perfino il dolore dell’abbandono è di gran lunga preferibile alla mortificazione dell’obbligo”. Parole di verità, che tanto spesso da chi è in carcere ascolto.
    Da qualche mese Giovanni Farina può finalmente uscire dal carcere. E’ in permesso temporaneo in affidamento ai servizi sociali presso Casa Caciolle, e spera di poter continuare a scontare all’esterno l’ultimo periodo della pena. Così sabato scorso nello Spazio CTI-Teatro, c’è stato un incontro per presentare i libri che negli anni ha scritto, ché tanto Giovanni, che molto scrive e bene, ha da dire. E anche di questo naturalmente si è parlato.
    Fra il pubblico c’era l’ex direttrice del Gozzini, Margherita Michelini. Persona di grande bravura e umanità, che l’animo di quel suo detenuto ha sicuramente compreso. Un breve intervento il suo, per dire che da tempo non usciva di casa perché molto malata. Ma che sabato sera è uscita, per la prima volta, per finalmente incontrarlo fuori e abbracciarlo. Immaginate la commozione di tutti. Le donne…
    “Le donne, la cosa più sacra del mondo”. Mi diceva sempre altra persona, Mario Trudu, che pure di carcere in carcere andavo a trovare. E che tutte chiamava “stimatissime”. “Le donne, non si toccano neanche con un fiore”, e si commuoveva. E forse anche lui, contro la violenza che le vede vittime, qualcosa avrebbe avuto da dire, da maschio per parlare ai maschi…

    scritto per https://www.ultimavoce.it/

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