Ricordate Marco Cavallo? Il gigante di cartapesta nato nel fantastico laboratorio dell’Ospedale psichiatrico di Trieste, simbolo della lotta contro tutti i manicomi. Era il 1973 e forse molti a Trieste ancora ricordano il giorno in cui Marco Cavallo attraversò le strade della città, in testa a un lungo corteo, accompagnato da tutti gli ospiti dell’ospedale psichiatrico… Ebbene, Marco Cavallo è ancora vivo. E ancora attraversa le strade delle nostre città, perché ancora c’è bisogno, e quanto!, del suo messaggio… perché se i manicomi non ci sono più, restano, e quante!, forme di oppressione e separazione, che nei manicomi hanno avuto una delle più brutali espressioni. E questa sera Marco Cavallo sarà a Roma, al Teatro Valle, storico teatro che i lavoratori dello spettacolo da metà giugno hanno occupato. Marco Cavallo, con il suo bel manto ancora brillante d’azzurro. Simbolo della lotta contro tutti i manicomi e della liberazione dell’immaginario. Marco Cavallo, si legge in un comunicato dei lavoratori dello spettacolo, va dove c’è bisogno, Marco Cavallo crea un teatro dove tutti sono attori di un evento collettivo, Marco Cavallo è una poesia scritta da tutti.(…)
Marco Cavallo
Panchine
Sembrava, chissà perché, forse, solo l’idea confinata in qualche cittadina del profondo nord. Invece… bastava guardarsi intorno. Ed eccola qui. La panchina dove è vietato, impossibile, sdraiarsi. La panchina… anti-barbone? anti-immigrato? … Comunque “anti”, che non accoglie ma espelle, e se pure concede che vi si possa fare una sosta, che si tratti, per carità, di un corpo a spalle erette, ben irrigidito nella postura dell’uomo seduto… Panchina, dove è possibile sentirsi soli, se non rattrappiti, anche se si è in due, così ben separati dal rigore del bracciolo centrale, perché non ci si mescoli, non si faccia confusione… che poi è forse l’immagine più vera di questi tempi tristi…. Una panchina, a Roma, in piazza Cola di Rienzo. A due passi dal busto, messo proprio lì dietro, di Totò. Il Principe, Antonio De Curtis… “ma mi faccia il piacere... !“… non lo sentite?, vergognandosi, di noi, sussurrare…
La bella estate
Salutando luglio, ancora, con parole dal carcere. Provando a dare un briciolo di voce a chi ne ha talmente poca…
“Dalla Rassegna Stampa di Ristretti Orizzonti: Bari, 27 giugno. D.S., persona detenuta di 28 anni, si è impiccato nel pomeriggio all’interno del bagno della sua cella. Teramo, 30 giugno: detenuto di 31 anni si impicca in cella: è il trentesimo suicidio del 2011 nelle carceri italiane.
Uccidersi non è facile, ma vivere nelle patrie galere italiane è ancora più difficile. Per questo nelle carceri italiane si continua a morire. E nessuno fa nulla. Nelle carceri italiane c’è una vera e propria guerra fra la vita e la morte, ma i mass media preferiscono occuparsi delle guerre degli altri paesi. Ai nostri governanti i suicidi in carcere fanno paura per questo cercano di nasconderli. L’Assassino dei Sogni (come chiamo io il carcere) non vuole che fuori si sappia che suoi prigionieri hanno più paura di vivere che di morire. Più nessuno parla e scrive del perché in carcere sono così in tanti a togliersi la vita. L’Italia spreca lacrime di coccodrillo per la pena di morte negli altri paesi, invece i suoi prigionieri li mura vivi senza la compassione di ammazzarli prima, perché vuole che i detenuti abbiano il coraggio di ammazzarsi da soli. I nostri governanti dovrebbero sapere che per rimanere in vita bisogna amare la vita, ma come si può amarla chiusi in una cella di cemento e ferro, giorno dopo giorno, notte dopo notte, un anno appresso all’altro a vegetare? I nostri politici dovrebbero sapere che in carcere in Italia si muore in tanti modi: di malattia, di solitudine, di sofferenza, di malinconia, di ottusa burocrazia e d’illegale legalità. E poi si muore perché per alcuni detenuti vivere nelle galere italiane è diventato un lusso che molti non si possono più permettere. Per questo ammazzarsi diventa una vera e propria necessità. (…)
L’albero di Sara
“C’era una volta un grande acero che viveva in un bosco insieme a molti amici alberi e cespugli. Aveva un tronco forte e rami agili che in primavera si coloravano di foglie verdissime formando un grande ombrello ombroso. Durante le vacanze la piccola Sara sceglieva proprio l’ombra diquell’albero per leggere il suo libro preferito. Per questo gli abitanti del bosco lo chiamavano Albero di Sara…”. Inizia così l’albero di Sara, una delle fiabe de “I sogni degli alberi”, nate da un laboratorio ideato in un campo estivo dell’Afadoc, l’associazione che si occupa dei problemi legati all’ormone della crescita, che ha invitato i suoi bambini ad esprimere le loro emozioni attraverso le fiabe. Gigliola Alvisi ha curato i testi di questa raccolta, e l’albero di Sara è diventato un libretto a parte, perché è una storia davvero preziosa. La storia. L’albero di Sara, questo grande acero, la notte sollevava le sue radici dal suolo per vagabondare e conoscere il mondo, ma per questo viene punito da una strega che gli taglia tutte le radici… l’albero perde la linfa, diventa piccolo piccolo quasi muore, ma Sara, lo salva. Come? Invasandolo e innaffinadolo, e curandolo. Come aveva visto fare alla sua mamma. Amandolo, insomma. C’è una evidente, forte identificazione della bambina che ha ideato il racconto con l’albero a cui hanno rubato la possibilità di crescere. Sara, una bambina di quinta elemtare… (…)
Unidici ore
Un racconto. Le undici ore di libertà di Carmelo Musumeci. Dopo 20 anni, un permesso specialissimo e unico per discutere la sua tesi di laurea. Undici ore, raccontate con ritmo sincopato, come battiti di cuore, a tratti impazzito. Ecco:
Undici ore d’amore di un uomo ombra, di Carmelo Musumeci.
Primo capitolo.
PREMESSA: Il Tribunale di Sorveglianza di Perugia concede un permesso di necessità (previsto dalla legge in casi particolari di eventi gravi e irrepetibili, anche di lieta natura) da uomo libero, senza l’uso della scorta, da trascorrere in Perugia presso la locale Università degli Studi per discutere la propria tesi di Laurea. Dopo la conclusione della cerimonia di Laurea, il Musumeci è autorizzato a raggiungere la Casa di Accoglienza “Il Sogno di Maria” gestita dalla Comunità Papa Giovanni XXIII con sede in Bevagna per festeggiare l’evento con i propri familiari. Il permesso è concesso per il giorno 11 maggio 2011 dalle ore 11.00 del mattino fino alle ore 22.00 della sera.
Mi hanno arrestato nel 1991. Mia figlia aveva nove anni, mio figlio sette. Nel frattempo mio figlio mi ha dato due nipotini, Lorenzo di cinque anni e Michael di tre. Nel mio diario che tengo da anni, in data 03 maggio2011, scrivo: – “Io non credo ai miracoli, posso solo vivere contando su di loro” (Karl Rahner). Non credo neppure agli angeli eppure da qualche anno ne ho incontrato uno. Ieri sera alle ore 17.00 mi hanno comunicato che mi sono state concesse undici ore di permesso da uomo libero. Non potendo usufruire di permessi premio, avendo l’ergastolo ostativo ai benefici penitenziari, la Magistratura di Sorveglianza mi ha concesso in via eccezionale e irrepetibile un permesso di necessità. Il mio cuore sta scoppiando di felicità. Ringrazio la luna, le stelle e l’universo intero. I giorni seguenti: – Non ho chiuso occhio tutta la notte. Penso che dalla gioia non riuscirò a rimanere vivo fino al giorno del permesso. Spero che il mio cuore non smetta di battere proprio adesso che è ad un passo dalla felicità. (…)
Torture
Il 26 giugno sarà la Giornata Internazionale dell’Onu contro la tortura. Ricordando che in Italia esiste la “Pena di Morte Viva”, una pena che non finisce mai se al tuo posto non ci metti un altro e che l’ergastolo ostativo è una pena di morte dove il boia è il tempo e vieni ammazzato e torturato ogni secondo, ogni minuto, ogni giorno, ogni anno che passa. Ricordando che in Italia il carcere è il posto istituzionale più illegale e dove si muore e ci si toglie la vita di più di qualsiasi altro luogo, i detenuti e gli ergastolani in lotta per la vita di Spoleto, raccogliendo l’invito dell’Associazione Liberarsi e per dare solidarietà allo sciopero della fame a Marco Pannella, aderiscono a tre giorni di sciopero della fame. Il 24-25-26 giugno, contro la tortura del carcere e nel carcere e contro l’ergastolo ostativo.
Carcere Spoleto, giugno 2011
I firmatari : Lato A primo piano AS1, Lato A secondo piano AS3, Lato A terzo piano AS3, Lato B primo piano AS1, Lato B secondo piano AS2, Lato B terzo piano AS3, Transito AS3
Per non essere costretti ad abbassare le ali…
Appuntamento domani, a Roma, alle 11 a piazza Montecitorio. E contemporaneamente in altre nove regioni. Ad Ancona, Belluno, Bologna, Cagliari, Catanzaro, Firenze, Milano, Napoli, Padova, Torino, Venezia, Verona, Vicenza. “I diritti alzano la voce”. Mobilitate tutte le associazioni aderenti al Forum del Terzo Settore, molto attive Fand e Fish, federazioni delle associazioni per i diritti dei disabili. Contro un governo che in soli quattro anni ha tagliato l’80% degli stanziamenti per le politiche sociali. Tagli che non riducono la crisi della finanza pubblica, ma provocano la chiusura di servizi fondamentali, negano diritti, mettono a rischio soprattutto le persone più svantaggiate, rendono sempre più insostenibili gli oneri delle famiglie… Alzare la voce, per non essere costretti ad abbassare le ali…
il bambino dall’anello
Una fiaba…. Il bambino dall’anello, di Annamaria Giustardi, edito da Mammeonline…, una fiaba per raccontare una malattia rara, la sindrome Ring 14; i bambini che ne sono affetti hanno ritardo mentale, microcefalia, epilessia…, una storia difficile da raccontare… Non per Annamaria Giustardi, che ben conosce Stefania Azzali, che l’associazione Ring 14 ha voluto, e la storia del suo bambino, Matteo, e che sa come come, con le parole delle fiabe, raccontare vite forse troppo dure da fare capire ed accettare. La storia: tutto inizia con un maleficio, di maghi cattivi invidiosi degli uomini, che mettono all’interno di alcuni bambini un anello di ferro… “un anello così forte che niente avrebbe potuto distruggerlo o toglierlo. Quell’anello era come una gabbia, e impediva di parlare, o di camminare, o di mangiare, o di capire gli altri. Alcuni bambini cadevano improvvisamente a terra, rotolandosi e lamentandosi, altri se ne stavano fermi e immobili, senza alcuna possibilità di stare meglio”. L’anello di ferro, a simboleggiare quel cromosoma sbagliato… Nelle fiabe, si sa, anche il peggiore dei malefici lascia la speranza di un antidoto, e anche qui , sappiamo che il bambino che avrebbe incontrato una persona dal cuore veramente buono, avrebbe avuto una vita migliore… E così il bambino dall’anello di ferro va per il mondo. Il bambino con l’anello di ferro fa tanti incontri, all’inizio sembra quasi sempre che e cose si mettano per il meglio, ma poi… le persone sono sempre deludenti… Già, c’è chi lo apprezza perché intelligente, chi lo ammira per i suoi begli occhi… ma nessuno gli chiede come si chiama, (…)
Piazze in movimento, e non solo…
Dopo la strepitosa vittoria del pensiero libero… perché così non posso che leggere il risultato referendario, se l’informazione e la formazione delle opinioni si è formata lontano, anzi indifferente alle voci, ( o forse meglio al silenzio) degli apparati dell’informazione “ufficiale”… una riflessione, per quanto piuttosto a latere, sul giornalismo partecipativo. Rispondendo, qualche tempo fa, alle domande di una giovane laureanda dell’Università di Urbino.
D. Secondo Lei, quali cause stanno alla base di questo fenomeno ormai dilagante? Cioè, secondo Lei, qual è il motivo principale che spinge un cittadino qualsiasi a partecipare attivamente a un blog o in molti casi a fondarne uno, oppure semplicemente a dare testimonianza di fatti tramite i social network? R. La risposta, immediata, che darei, è forse banale… ma il desiderio di comunicare nasce con l’uomo. Ogni tempo ha i suoi strumenti e le sue strade. Dal racconto orale intorno al fuoco, ai messaggeri che hanno traversato foreste e deserti, da un villaggio all’altro, e così via attraverso secoli e millenni, con le parole affidate ai libri, poi a fogli di giornale, agli impulsi via radio, alle tv… alla rete! Comunicare, testimoniare, raccontare, è spinta a cui nessuno di noi, consapevole o no, si è mai sottratto. Come non approfittare, allora, degli ultimi strumenti a disposizione, che permettono a ciascuno di noi di ampliare enormemente il numero dei destinatari del nostro messaggio. Un salto “di quantità” che diventa anche “di qualità” quando, nella trasmissione del messaggio, cerchiamo di mettere tutta la conoscenza di cui siamo portatori, ciascuno nel proprio campo d’esperienza. E questo è uno sforzo che, a mio parere, ciascuno è portato a fare, nel momento in cui sa di potersi rivolgere a un “pubblico” ben più ampio della cerchia dei conoscenti, dal quale fra l’altro possono derivare feedback altrimenti impensabili. Una spinta ulteriore, a mio parere, è venuta anche dall’essere consapevoli del fatto che esiste finalmente un campo di manifestazione del pensiero che non incontra i limiti e le barriere dei luoghi “ufficialmente” ( ma lo sono ancora? E chi e per chi, e per quanto lo saranno ancora?) deputati ad informare. Mi riferisco a limiti di vario genere. Tutt’altro che secondario, ad esempio, il problema economico: i costi di utilizzo della rete sono praticamente nulli, rispetto e quelli di un giornale cartaceo o di una televisione, per quanto di nicchia. E dal “limite economico” non possono che derivare limiti di indirizzo, e quindi vincoli di contenuti, sia in termini qualitativi che in termini quantitativi. Per non parlare dell’assenza di vincoli per così dire “burocratici”, il fatto cioè che in rete nulla e nessuno è titolato a dare autorizzazioni, a decidere insomma chi, e come e in quali forme, è “adatto” a fare informazione. (E qui, a margine, si potrebbe aprire una parentesi su ruolo, significato e attualità degli ordini professionali, argomento delicato e complesso su cui da tempo c’è dibattito. Ma forse può essere l’argomento di un’altra tesi).(…)
Si chimava Nazareno
Si chiamava Nazareno. L’uomo che si è impiccato questa settimana nel carcere di Spoleto. Ecco, almeno possiamo ricordarlo con un nome, sollevandolo appena, almeno, dalla solitudine feroce di chi non può neppure essere pronunciato… E da Spoleto arriva questo pensiero, e arrivano le lettere di due persone che con Nazareno hanno diviso la condanna…
“Mentre oggi si dà ampio spazio ai commenti sulla liberazione di Cesare Battisti in Brasile, della “Pena di morte viva” che esiste in Italia nessuno vuole parlarne e neanche dei continui e inarrestabili suicidi in carcere. Venerdì 3 giugno si è impiccato a Spoleto un uomo condannato all’ergastolo, già in carcere da 22 anni. Quasi nessun giornale ne ha parlato, poco è trapelato e questa morte è passata ancor più inosservata delle altre, tra l’indifferenza di chi non vuole rendersi conto della carneficina che si sta consumando dentro le nostre galere. Quest’uomo due giorni prima aveva avuto conferma di avere una pena ostativa ai benefici penitenziari. Sapete che significa allo stato attuale? Nessuna possibilità di uscire, MAI, un REALE FINE PENA MAI che dura fino alla MORTE, tutti i santi giorni in carcere fino alla morte. Nazareno non ce l’ha fatta e due giorni dopo averlo saputo, alla prima occasione in cui è rimasto solo, ha preferito la MORTE, ha scelto di morire. E’ desolante e demoralizzante tutto questo, oltre che profondamente ingiusto, di un’ INGIUSTIZIA CHE URLA, ma l’urlo questa volta è addirittura quello di un morto; non ci rimane che l’assurda speranza che questa morte possa toccare il cuore di qualche giudice e legislatore. Sì, lo so, non lo saprà nessuno, tutto già è nell’oblio e la morte di Nazareno forse è stata vana, ma noi siamo dei sognatori, LASCIATECI SOGNARE: SOGNAMO UN FINE PENA PER TUTTI CHE NON SIA LA MORTE. Ecco cosa scrivono due compagni dell’ergastolano suicida: (…)