E oggi che “per tradizione” le carceri si affollano di visite di uomini politici, una lettera di Carmelo Musumeci, dal carcere di Spoleto. Con una premessa, citando Arthur Schtnizler: “Quando l’odio diventa codardo se ne va mascherato in società e si fa chiamare giustizia“. Voci da dentro, dunque, per tutti noi che siamo ancora fuori. E buon Ferragosto…
“Si sta discutendo l’esame del disegno di legge riguardante l’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a un anno. Probabilmente i politici a giorni lo approveranno perché non ne possono fare a meno dato che le carceri stanno scoppiando dal sovraffollamento. Ma non credo che ci fosse bisogno di una legge per applicare altre leggi, perché se la magistratura di sorveglianza applicasse le misutre alternative, le galere italiane non sarebbero così stracolme, e poi perché non dare una possibilità anche a quei detenuti che sono da tanti anni in carcere? Ci sono uomini da più di vent’anni chiusi fra quattro mura, che fare di questi uomini?
Potere delle istituzioni o potere del giornalista? Se lo chiede Rosa Mancini, studentessa di Urbino. E la domanda non è per nulla oziosa. Leggete un pò, così, aspettando ferragosto…
Fra due giorni, trent’anni fa, la strage di Bologna. La madre di tutte le stragi. Che ricordiamo, con lo sguardo di questa bambina, Angela Fresu, tre anni, morta con la madre, nell’esplosione letteralmente dissolta. E con le parole di Daniela Morandini, che quel giorno era lì…
Per salutare luglio, con un tuffo nell’acqua. Storia, anche questa, di follia e di rimpianto, scritta in punta d’onda… Come la racconta Daniela Morandini.
Invito a un viaggio. In una delle realtà più vivaci che possiate immaginare. Parola di Giuseppe Marcenaro. Che dopo, si immagina, attenti sopralluoghi nello spazio e nel tempo, traccia per noi un percorso a spasso per quel territorio “oltre” che sono i cimiteri. Sì, proprio così, in quei luoghi dove, assicura, tutto si svolge sotto mentite spoglie. Narratore di rara finezza, Marcenaro, riesce a condurci per mano, fra lapidi e ossari, riempendoci gli occhi e l’anima del palpitare dei vivi. I vivi che furono. I vivi (ma ne siamo sicuri?) che siamo. E così, seguendolo, trascinati contro corrente lungo la spirale dello spazio e del tempo, ci vengono incontro Rimbaud, Valéry, Rasputin e gli esuli di Madre Russia, Foscolo, Billy the Kid e Calamity Jane, Poe e tutti i poveri morti degli ossari sul fianco di Poggioreale, e tanti altri ancora. E tutta la folla di uomini e donne che nutrirono, o portarono via, il loro tempo… Ciascuno racconta la propria storia, e sono tutte, è proprio così, storie di rimpianti e di follie. E tutti insieme tessono la folle trama che compone il mondo. Quello loro e questo nostro. Che è poi la stessa cosa…
… e’ che forse per vederla bisogna aspettare la luce tranquilla che anticipa il tramonto. Quando anche lei un poco si acquieta, dopo tutto il lavorare del giorno. Su e giu’, su e giu’ per la casa, avanti e indietro, avanti e indietro, perche’ nessuno con animo cattivo si avvicini. Ed e’ l’aria che fa respirare le mura, ed e’ la linfa che nutre le foglie del giardino. Lo spirito buono che abita le case. Finche’ nessuno l’offenda. Finche’ ancora si abbia premura di lasciare a tavola un posto per lei. Bella ‘mbriana. Che gioca a nascondersi come vento fra le tende… Tradita, vedete?, dal raggio inclinato di sole che ora la trafigge… Ma attenti, attenti a non disturbarla. Solo, si puo’, a bassa voce, soffiare un saluto… Bonasera bella ‘mbriana mia, / rieste appiso a ‘nu filo d’oro /aspettanno ‘o tiempo asciutto / bonasera a chi torna ‘a casa c’o’ core rutto…
Un volo, per questa domenica di fine luglio. Su ali di versi.
E chissa’ dove e’ andato a finire. Magari solo nascosto appena appena piu’ in la’. Stanco dello sguardo curioso degli altri. Una donna l’ha visto. All’alba di ieri, portare via le sue cose. Due sedie, un tavolino, due scatole di cartone, un lume, una gabbia vuota di canarino. Una valigia, si sospetta, di libri. La donna l’ha visto ma, distratta da un urlo di sirena, si e’ affacciata sul vicolo accanto e quando e’ tornata non c’era gia’ piu’. Solo ha lasciato, per qualcuno che ancora proprio voglia andarlo a cercare, un cartello bugiardo. Piu’ avanti, sembra, indicare. Ma ridendo, vedete?, una mano di vento, gia’ lo sta piano piano togliendo…
(…) Notai un’apertura nella recinzione che era stata messa intorno alle case e la varcai. Attraversai la facciata di un edificio che doveva aver contato almeno due secoli. Su di me lo stesso cielo azzurro. Non c’era traccia di soffitto, come se l’ultmo piano fosse stato tranciato di netto dal colpo di un’enorme sciabola. In alto, sulla mia testa, i bordi sfrangiati di un ballatoio al quale portava una larga scala di pietra. La scala continuava ancora con qualche gradino oltre il piano del ballatoio, per poi troncarsi mezz’aria. Di tutta la pavimentazione erano rimaste solo tracce di mattoni crepati. Unico segno di una vita lontana, il corpo di una vecchia stufa di ghisa, nell’angolo che avevo di fronte. Poi solo pietre. Pietre e polvere. Tanta polvere d accecare l’aria tutt’intorno. Feci un giro su me stesso, puntai l’occhio dentro il mirino e partì l’intero caricatore. Sulla scarica degli scatti l’ombra di una grossa lucertola si affacciò da un mattone. Il rettile sgambettò fino al davnzale del finestrone che si apriva alla mia destra. Mi lanciò un’occhiata, infastidito, prima di immergersi nell’esterno. Nessun’altra traccia di respiro. Solo pietre, e polvere, e qualche stelo di erba disidratata.
Poi disse alla donna: “Moltiplicherò la sofferenza