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    Assalto al cielo… trent’anni dopo

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    Cominciò tutto a Bologna. Parlando di radio. Radio di movimento. E oggi? Quali voci? E per dare voce a chi? Una risposta in questo articolo inviato da Monica Pelliccia, laureata in giornalismo alla Carlo Bo di Urbino. Pensando alle radio di movimento, dunque.. (foto di Tano d’Amico).

    Diamo l’assalto al cielo. Dal settantasette ad oggi, trent’anni di comunicazione che sovverte tecnologie e contenuti. “Cominciò tutto a Bologna. Era il 1977 e in via del Pratello nasceva Radio Alice. In tutta Italia, i microfoni delle radio di movimento raccontavano i fatti di quel marzo. Trent’anni dopo, con supporti diversi e ben più tecnologici, nuove voci continuano a dar voce alla marginalità ed ai movimenti. I tweet postati su Twitter dai dissidenti iraniani scesi in piazza contro il regime di Ahmadinejad. Le foto ed i video inviati a Indymedia da parte di semplici manifestanti, per raccontare il G8 di Genova, dal loro punto di vista. Quello delle torture e delle violenze perpetrate ai loro danni dalle forze di sicurezza. Vicende ignorate dai media ufficiali. Definite da Amnesty International come: “la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”. Una storia che continua.

    Poesie…

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    “Sognavamo nelle notti feroci / Sogni densi e violenti / Sognati con anima e corpo: / Tornare; mangiare; raccontare. / Finché suonava breve e sommesso / Il comando dell’alba: / “Wstawac”: / E si spezzava in petto il cuore. /(…)” . Nella Giornata Mondiale della Poesia, i versi di Primo Levi. Pensando ai prigionieri di ogni tempo. Ai prigionieri di questo nostro tempo, e di questo nostro paese. Ai quattordici suicidi di questi primi mesi dell’anno. Alle morti “sospette”, di violenze oscure. Chiuse alla vista, di noi “innocenti e liberi”, di qua dalla riva. Buona primavera…  (Primo Levi, Ad ora incerta, Garzanti 1990)

    Kairòs

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    Responsabilità. Un concetto dei nostri tempi? Bella domanda. Interessante. Inquieta anche un pò. Guardandosi intorno, prima di rispondere. La domanda la pone il Goethe Institute, invitando a una tavola rotonda a proposito, appunto, di responsabilità e dei tempi che corrono. Per provare a rispondere. Per cercare fra l’altro di capire in quale forma ciascuno di noi può e deve assumersi la responsabilità di prendere decisioni rilevanti per la comunità. Un’immagine accompagna l’invito: il dipinto “Kairòs“, di Francesco Salviati. Kairòs, che in greco significa “momento appropriato per agire”. Kairòs che non è Chronos, se chronos è quantità e kairòs è qualità, eppure momento di un periodo di tempo indeterminato nel quale qualcosa di speciale può accadere. Qualcosa che nasce come dall’agire dell’essere alato del dipinto. Così umano… così divino… (Per ripensare l’essere cittadini e il far parte di una società sostenibile, dunque, mercoledì 24 marzo, alle 19,30 al Goethe Institute di Roma, in via Savoia 15)

    Aniello

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    Uno sguardo da una riva del Sud. Piu’ a Sud del Sud. Puntato sulle onde a incrociare uno sguardo di Sirena. La vedete, naturalmente, la Sirena, li’ davanti al suo sorriso, a rimandargli, anche lei, sorrisi… Dalla Riva Sud, lo sguardo di Aniello, che l’amica nascosta, racconta cosi’…

    “Aniello era figlio di questa terra e di questo mare. Un mare cosi’ bello che la Madonna (rapita in Oriente dai saraceni e nascosta nella stiva), quando vide queste acque, ordino’: “Posa, posa!”. Cosi’ la Vergine raggiunse l’albero maestro e volo’ sulla spiaggia. Da allora non e’ piu’ andata via. Neanche quando un diavolo cerco’ di sfidarla. Aniello era bello come Mastroianni e forte come Poseidone. Sposo’ una donna bellissima venuta dal Nord. Costrui’ per lei e per i loro figli una grande casa in cima alla montagna. Scavo’ nella roccia, porto’ sulle spalle le travi, le piastrelle, le pietre. Da li’, se si guarda bene, si vedono ancora gli dei che passeggiano. Ma la sua vita era al mare, proprio davanti all’isola delle sirene (c’e’ ancora in quei fondali il relitto dell’ultima nave che e’ riuscita a fuggire all’incanto).

    Berlino, il voto, dunque…

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    La cronaca incalza. Il voto dunque, esattamente oggi, venti anni fa…

    Berlin 18.3.90 La Germania dell’Est ha cominciato a votare.Questa volta, sul serio. Sono le prime elezioni libere dal 1933, dopo il nazismo e lo stalinismo. Quattrocento i deputati,ventiquattro le liste. In declino quelle avanguardie che hanno fatto crollare il Muro. Forti, invece, i partiti con un apparato. L’Alleanza per la Germania -appoggiata dai Cristiano democratici dell’Ovest- vuole la riunificazione subito, in base all’articolo 23 della Costituzione federale. Anche i socialdemocratici sono per la riunificazione, ma chiedono tempi piu’ lunghi. Qualche sorpresa potrebbe venire anche dal PDS, i post comunisti. Possono contare ancora su una forte rete di clientele ,ma anche su chi ha paura di perdere lo stato sociale. Per garantire  la trasparenza,sta lavorando la Commissione elettorale voluta  dalla Tavola rotonda, i gruppi  del dissenso. E gia’ ci sono le prime proteste, perche’, per queste elezioni , sono stati spesi troppi marchi occidentali. La Commissione   annuncia anche  nuovi controlli.  Teme che gli uomini della Stasi possano avere piu’ documenti, quindi piu’ certificati elettorali, e che quindi possano votare piu’ volte. 

    Si vota!!!

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    In attesa delle prossime votazioni. Ritornando a una vigilia di voto. A Berlino, esattamente venti anni fa… un ritorno al futuro, dagli appunti di daniela Morandini.

    Berlin 17.3.90C’e’ già aria di festa, qui, sull’Alexander Platz. Domani, circa dodici milioni di tedeschi dell’Est andranno a votare. E’ la prima volta dal 1933, dopo la dittatura nazista e quella stalinista. Devono eleggere quaranta deputati. Ventiquattro le liste. Sono tante,come ogni volta che nasce una democrazia. Non ci sono preferenze. Ma il confronto sara’ soprattutto tra i partiti che sanno già fare i partiti. E quei movimenti dell’opposizione che sono stati l’avanguardia della rivoluzione di novembre, stanno diventando sempre meno popolari. Tre i grandi schieramenti. Il PDS e’ il nome nuovo della vecchia SED, il partito comunista. Ha addosso l’eredità pesante del regime di Honecker, dello stalinismo. Ha ancora una forte rete di clientele. Ma ha anche un segretario nuovo: Gregor Ghisy, che vuole fare pulizia , e che ieri sera è riuscito a far ridere questa piazza strapiena. C’e’ l’Alleanza per la Germania,. sostenuta dai cristiano democratici dell’Ovest. Pochi giorni fa, ha subito un brutto colpo. Uno dei suoi leader, Schnur, ha confessato di avere collaborato con la Stasi, la polizia segreta del vecchio regime. Ma questa Alleanza ha dietro chi vuole una Germania unita, subito. Poi, i socialdemocratici, rinati dopo la distruzione fatta dai comunisti nel dopoguerra. Vogliono la riunificazione, ma con cautela. La commissione elettorale denuncia che questa campagna e’ stata pagata dall’Ovest,ma molti non sanno ancora per chi votare. E ogni previsione, qui, potrebbe essere fantascienza.

    Mamma Africa

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    Ripensando al concerto, ieri, sabato sera, in ricordo di Miriam Makeba. E al Movimento Africani in Italia, che ha voluto l’incontro. Per ricordare la Voce dell’Africa. Mamma Africa che ha cantato la musica e la gioia di vivere. La musica e la libertà che ne nasce. Per tutti. Miriam Makeba che il destino ha voluto morisse, in un cattivo novembre, in terra d’Italia. A Castel Volturno. A ricordare diritti che vanno difesi. Per tutti. Cosa che noi, così distratti, a volte sembriamo aver dimenticato. Un concerto in ricordo di Miriam Makeba, per la sua testimonianza contro l’apartheid bandita dal Sud Africa, con la sua musica. Commovente ed entusiasmante. Per tutti e forse più di tutti, rimane l’eco dei passi delle artiste africane salite sul palco. Il loro muoversi che è tam tam che segna il ritmo del battito del cuore della terra. I loro corpi, che sono musica della terra. Fasciati di colori, che sono, esplosione, di vita.

    Tornando a Berlino, venti anni fa…

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    e comunque, tornando a un’altra riva, un altro muro… riprendendo il filo di ieri, guardando all’oggi

    “Berlin 13 marzo 1990 Karl Marx Stadt, all’Est. Sono in centomila ad ascoltare il leader dell’altra Germania. Kohl promette pensioni più alte. Sa che qui la gente ha paura di perdere lo stato sociale. Sulla questione della frontiera polacca, sorvola. Sa anche  che questo e’ il problema vero, quello che lo fa litigare con il suo ministro degli esteri, Gensher. Della frontiera Oder Neisse, il cancelliere ha già parlato qualche ora fa, in una conferenza stampa, con i leader dei tre partiti conservatori dell’ “Alleanza per la Germania“. “La riunificazione – ripete-  esclude qualsiasi spostamento di confini “. Ma sono parole che ai polacchi non bastano. Da Varsavia arriva il rammarico di Mazowiesky perché, nonostante le promesse, il cancelliere ha rifiutato la proposta di firmare un trattato che garantisca la frontiera orientale. E a Varsavia pensano anche che la posizione di Kohl sia la stessa di Waigel, sostenuto dai Republikaner, l’estrema destra.

    …ismi

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    Riflettendo sulle parole. Mi arriva un pensiero. A proposito delle distorsioni che ne facciamo.  Volentieri pubblico e condivido. Pasquale, dunque, dice:

    “E’ sempre più frequente l’uso della parola “buonismo”. Un’inclinazione soggettiva – essere buoni- è diventata, grazie alla desinenza ismo, una categoria filosofica o corrente culturale come marxismo, illuminismo, futurismo ecc. Sappiamo a cosa si riferisce chi ne fa frequente uso: un atteggiamento di tolleranza per persone e comportamenti non conformi, una pennellata di caramelloso dolcificante su conflitti generazionali, sociali e culturali per non vedere in faccia la dura realtà delle cose.  A volte l’accusa, che sfiora l’insulto, fa’ esplicito riferimento politico alla cosiddetta componente catto-comunista della nostra società che, mescolando messaggi evangelici e dottrine socialiste, considera l’uomo buono o almeno degno di perdono.

    Credo sia ancora in uso la mitica lavagna dove, in assenza temporanea dell’insegnante, il capoclasse aveva il compito di scrivere buoni e cattivi separati da una riga verticale. Dobbiamo riconoscere che spesso i buoni sono tali per inerzia e conformismo mentre i cattivi sono  i più irrequieti e talvolta i più intelligenti. Che nella cattiveria ci sia una maggiore dose di realismo non c’è dubbio. E’ dimostrato anche nel gioco del calcio, grande metafora della vita contemporanea, dove il pubblico, ascoltando i commenti di giocatori e allenatori, si è abituato considerare vincente chi ci mette cattiveria e perdente chi non ce la mette. Solo quando si tratta di fare la pubblicità a un dessert un noto ex calciatore e sfortunato allenatore esclama: troppo buono.

     L’elogio della cattiveria  si sta trasformando in ideologia  di hobbesiana memoria. E allora perché non suggerire ai comunicatori, creatori di neologismi, la parola “cattivismo”?” Pasquale


    Zia Teresa

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    Ancora, uno sguardo da un’altra riva. Questa volta obliquo. O discosto piuttosto dall’obiettivo che guarda. Perché anche questo è eleganza, di un tempo che fu. Uno sguardo poggiato. Sul mondo, senza bisogno di guardarlo, il mondo. Lo sguardo della zia Teresa, che una voce, chissà, di nipote lontana, suggerisce di raccontare così.

    La zia Teresa, zia della nonna Antonietta, mamma di Enzo, mio padre. Vivevano a Crespino, in provincia di Rovigo, non lontano da Venezia. Dove Sandro Bolchi ha girato  “Il mulino del Po”,  ma, soprattutto, dove precipitò Fetonte. Lo testimoniano ancora oggi i pioppi:  sono le sue  sorelle, le  Elidi, tramutate in alberi da Giove, per placare la loro disperazione. E lo dimostra anche la piazza principale, che si chiama ancora come il figlio  di Elio. Proprio in piazza Fetonte, viveva Teresa, che aveva sposato Luigi, un aitante giovanotto con la piu’ bella ferramenta del paese. Piu’ che una ferramenta,sembrava un negozio di dolci. Grandi vasi di vetro pieni di chiodi, che sembravano lucidati uno per uno. Martelli, pinze, tenaglie, cacciaviti, disposti in ordine per grandezza, come nell’animazione di un’avanguardia sovietica. In casa, le porte erano di vetro. Il pavimento rosso rosso.
     Un corridoio un po’ buio portava in un salottino. In alto c’era uno specchio rettangolare, inclinato, e la fotografia del Carlo, un bell’ufficialetto  con la divisa della seconda guerra mondiale. A sinistra c’era la cucina, grande, che dava sul giardino. Da li’ si arrivava sul Po, esattamente  dove era annegato Fetonte.