Continuando le cronache della Berlino di venti anni fa.
“Berlin 30.1.90 E adesso
Continuando le cronache della Berlino di venti anni fa.
“Berlin 30.1.90 E adesso
Leggendo, ancora di esplosioni e kamikaze. Sentendo, e usando, questa parola, kamikaze, come entrata nel lessico quotidiano, come fosse cosa come un’altra, esplodere nella carne… ripensando a una donna, la prima donna kamikaze, si disse allora, che nel gennaio del 2002 è esplosa in una via di Gerusalemme…Wafa Idris, universitaria, infermiera che prestava servizio volontario sulle ambulanze, divorziata, senza figli… allora, frugando fra commenti, testimonianze che già serpeggiavano in rete, ascoltando sensazioni… ne è nato questo testo… se è lecito cercare di pensare quello che lei ha pensato…
“Era una mattina come le altre. Come erano state quelle precedenti. Come sarebbero state quelle future. Queste solo a poco a poco più calde, con l’avanzare verso la primavera che avrebbe rinverdito le chiome degli oliveti e dei giardini sulle colline.
Tornando a Berlino, esattamente venti anni fa. Qualche appunto.
27.1.90 BERLIN Willy Brandt ora e’ anche presidente onorario dell’ SPD dell’Est. E’ una grande festa, per fare crescere insieme quello che c’e’ in comune. Ma l’atmosfera , qui nella Germania Orientale, continua ad essere poco festosa. Dopo l’uscita dei Cristiano democratici, il governo Modrow è sempre più traballante. Newes Forum e SPD sono disposti a dargli una mano, ma vogliono essere sicuri di restare autonomi. Anche a loro -che sono all’opposizione- il primo ministro ha chiesto aiuto per arrivare alle elezioni di maggio con un minimo di stabilità. Perché la base non risponde più. Più della metà ha ridato indietro la tessera. E adesso e’ anche indignata per la fuga nucleare del ’75,una notizia che e’ uscita solo due giorni fa. E per SED PDS, i post comunisti, le prime elezioni libere dopo il Muro, potrebbero essere un suicidio. (dal Taccuino di Daniela Morandini)
Iraq, ancora una strage a Bagdad. Titolano oggi alcuni notiziari. Riaprendo squarci sulle vicende di un paese che, se non quando magari illuminato dai bagliori di un’esplosione, sembriamo tutti dimenticare. Per aiutare a non dimenticare, e a capire di più, il sito Osservatorio Iraq (www.osservatorioiraq.it, da oggi fra i siti consigliati, accanto, nel blogroll). Come nasce? Dalla consapevolezza che la prima vittima della guerra sia la verità. E che anche per i media più attenti è difficile trovare informazioni nei teatri di guerra, mentre “la tirannia dell’audience” fa accentuare le informazioni sugli scontri bellici piuttosto che approfondire le analisi sui processi sociali e politici. Nato per parlare dell’Iraq nel momento in cui si è avviata la normalizzazione dell’occupazione militare (2004, con l’annuncio americano della fine del conflitto), l’Osservatorio oggi allarga il suo sguardo all’intero Medioriente. Insomma, per sapere del Medioriente che non fa notizia. www.osservatorioiraq.it
Anche se la data da celebrare è passata. Ancora una finestra su Berlino, vent’anni fa. Esattamente oggi. Cosa succedeva?
Berlin 22.1.90 “Questo, Gregor Ghisy, segretario della SED da poco più di un mese, non se l’aspettava. Berghofer, il sindaco di Dresda, gli ha restituito la tessera. Se ne va. Forse andrà con i socialdemocratici della DDR. Al direttivo straordinario, che ha deciso l’espulsione di cinque dirigenti del vecchio corso, Berghofer non è neanche andato. E lui, numero due del partito, è uno degli uomini della SED più popolari a Berlino Est. E’ un riformista che tante volte e’ sceso in piazza con i gruppi dell’opposizione. Adesso, a Ghisy manca un uomo importante. Proprio mentre la base, che gli aveva regalato una scopa per buttare via corruzione, ingiustizia, e stalinismo, gli chiede l’autoscioglimento del partito. Ora, alla SED e al nuovo governo Modrow, manca l’aria. De Maiziere, il presidente dei cristiano democratici, insiste sulla necessità di una grande coalizione. Ma si scontra con il segretario generale Kirchner, che vuole l’uscita dall’alleanza, e quella stabilità che tutti chiedono e nessuno vede. E in maggio, che non e’ lontano, ci dovranno essere le prime elezioni dopo il Muro.
dal Taccuino di Daniela Morandini
Leggendo della scoperta, in Egitto, ad Alessandria di un tempio dedicato a Bastet. Bastet, dea della gioia, della musica, della maternità. Bastet, dea gatta. E pensando allo sguardo-gatto che, con finto disinteresse, legge nelle nostre vite quello che forse neppure noi sappiamo. E guardandoci sospira, pietoso… Pensando a un altro gatto, Yellow. Gatto di Sarajevo, che nel tempo terribile della guerra, ha visto scomparire la sua giovane padrona e il ragazzo che l’amava. La loro vicenda, Yellow, ne sono certa, l’avrebbe raccontata così.
“Era l’inizio di novembre e le zolle di terra si stavano di nuovo irrigidendo nel freddo.
Yellow arrivò, ispezionò il terreno, si guardò intorno, scrutò oltre la siepe e si fermò su di un tratto ancora coperto d’erba bassa. Si sedette appoggiando il dorso all’asse di legno infisso nel terreno e si apprestò ad aspettare il trascorrere di un altro giorno. L’odore dell’aria già annunciava il gelo e Yellow sapeva che sarebbe presto arrivato un altro inverno. Un brivido gli scosse il corpo. Si sentiva molto stanco. Da qualche tempo le cose sembravano aver perso il loro confine e aveva l’impressione che le ombre del buio avessero preso ad arrivare molto prima delle ore della notte. La mattina, impiegava sempre più tempo per arrivare fin lì. Ma non era mancato neppure un giorno. Da quando, non aveva idea del tempo trascorso, il corpo della sua Admira era stato sepolto in quella fossa, accanto al corpo del ragazzo che gliel’aveva portata via.
Leggendo di cose che pure accadono. Ad Haiti, ad esempio, dove una troupe televisiva, fra le tante in giro a catturare immagini, si è fermata al richiamo di un lamento. Spenta la telecamera, cameraman e inviati, di una tv australiana, hanno iniziato a scavare fra i detriti. Hanno scavato con le mani, fino a stringere la mano di una bambina. Accade anche questo, ad Haiti. Davanti al dolore degli altri. Che è anche il titolo di una lunga riflessione di Susan Sontag. Che ci ricorda che da quando furono inventate le macchine fotografiche, la fotografia corteggia la morte. Foto strazianti, di grande impatto emotivo, hanno affollato e affollano il nostro cuore e la nostra memoria. E lo stesso potremmo dire di immagini… Che, come le foto, possono colpirci, ossessionarci, e troppo lo fanno. Ma non ci dicono tutto. Non sono di grande aiuto, se il nostro compito è quello di capire, dice Susan Sontag. Cosa che può fare invece la narrazione. Davanti al dolore degli altri, gli uomini della troupe australiana, si sono fermati. Hanno risparmiato al mondo il frame di una piccola grande ossessione in più. Hanno regalato il racconto di un sospiro d’umanità.
Pensando ad Haiti, e a questo nostro fragile, terribile mondo. Rileggendo della prima reazione di Voltaire, alle spaventose notizie da Lisbona, dove la terra ha tremato, annientando la città, all’alba del novembre del 1755. “Ecco una fisica ben crudele. Grande sarà l’imbarazzo di chi vorrà capire come le leggi del movimento producano disastri così spaventosi nel migliore dei mondi possibili. Centomila formiche, il nostro prossimo, schiacciate in un colpo solo nel nostro formicaio: metà di esse periscono probabilmente fra angosce inesprimibili in mezzo a macerie da cui non le si è potute liberare, famiglie rovinate a un capo dell’Europa, le fortune di cento commercianti della vostra patria inabissatesi nelle rovine di Lisbona. Che razza di triste gioco d’azzardo è la vita umana? Che dirano i predicatori, soprattutto se il palazzo dell’Inquisizione è rimasto in piedi? (…)”. Reazione ‘a caldo’, come si dice. Prima delle riflessioni che comporranno il Poème sur le désastre de Lisbonne. …. / Credetemi, quando la terra spalanca i suoi abissi/ il mio lamento è innocente e le mie grida legittime/…/ Questo mondo, questo teatro di orgoglio e di errore/ è pieno di sventurati che parlano di felicità/…
Ricevo, e volentieri pubblico, questa inchiesta. E’ stata realizzata dagli studenti del corso di giornalismo radiotelevisivo dell’Università Carlo Bo, di Urbino. E sembra di vederli, questi studenti, cittadini provvisori, in giro a far domande… ai pochi abitanti e ai molti studenti. Studenti provvisori, dicono, di una città “di passaggio”, dove qua e là, a volte, si affacciano fantasmi… Lo studente provvisorio, dunque…
Urbino e gli studenti. Ma dove sono e chi sono gli altri? E come vivono insieme?
Da generazioni, la gente di qui se ne va. Gli universitari sono diventati una parte importante dell’economia del Montefeltro. Ma per loro è difficile incontrare le persone del posto che sono rimaste. E non è neanche facile riuscire a parlarsi: ci sono tanti gruppi che non sempre riescono a comunicare.
Qui si vive bene ma alla domanda “sei cittadino o di passaggio?”, tutti rispondono di sentirsi provvisori. Non progetteranno la loro vita qui. “Per adesso sono un cittadino, ma so che devo andare via, quindi sono anche un turista”.
Eppure l’influenza degli studenti potrebbe arrivare anche all’ambito politico.
“Uno studente in Consiglio comunale”: è questa la proposta di Alberto Sofia, presidente dell’Associazione Universitaria Fuorikorso Urbino. Chiede che uno di loro entri in Comune. L’idea appoggiata, tra gli altri, dal nuovo rettore Stefano Pivato, non ha ancora avuto risposta dal sindaco Corbucci. Se l’ipotesi non passasse, si potrebbe pensare a incontri tra il Municipio e gli universitari. “Abbiamo organizzato varie conferenze, aperte a tutti” – ci spiega Sofia - “molto seguite sono state le ultime due iniziative – prosegue - Abbiamo parlato di libertà d'informazione e di omofobia. Un discorso che non deve finire qui”. Perché anche la questione dei diritti civili è un nodo centrale del rapporto tra chi studia e che è nato qui.
Pensando alle cronache d’oggi, rileggendo alcuni versi dell’Ecclesiaste. “Ogni violenza compiuta sotto il sole/ La vidi // E lacrime di oppressi / Nessuno le addolciva // E violenza di oppressori / Nessuno la frenava // I morti perché morti io lodo / I vivi no, perché vivi // E più di loro il felice / Che ancora non è stato // E il male non ha veduto / Che sotto il sole facciamo …”. Solo alcuni versi, perché non ci sono parole. Pensando alle cronache d’oggi, a Rosarno e giù, o su di lì. Dal Qohélet, nella versione di Guido Ceronetti (Einaudi 1997)