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    Dopo la pioggia…

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    Dopo la pioggia. Che è stata. Dopo ferocia di vento. E cielo buio. E voli muti d’uccelli. Spazzati via come foglie già morte. Dopo turbini padroni dell’aria e della terra. Che hanno scosso strapazzato ogni cosa intorno. E sibilato mantra di vittoria. Quano tutto è sembrato calmarsi. Si è aperto nel cielo. Il vuoto lasciato da quell’albero antico. Che arrivava fin sui tetti. Che arrivava oltre i tetti, e fioriva sul finire di ogni inverno di mimose. Il cielo ora in quel punto si apre nello spazio di una vertigine. E fa quasi paura. Ai piedi di tutto quel vuoto, ancora stamane il pieno del tronco riverso, dei rami spezzati. E radici divelte, strappate con furia alla terra. Tutt’intorno ancora si affannano seghe senza pietà. Un pensiero, ai becchini che armeggiano col rumore delle seghe, all’albero di mimose che già non c’è più. Un pensiero alla prossima primavera, che crudele come sempre arriverà, “a svegliare sopite radici”.  E sarà più triste del solito. Vuota dell’annuncio delle mimose.

    Dopo la pioggia

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    Dopo la notte di pioggia, e gli squarci, di lampi, che rompono il tempo estenuante dell’estate che sembrava non volesse morire. Domenica mattina. La nuova luce non libera che il sentimento di una selvaggia sedententarietà.

    Una fiaba che non è una fiaba…

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    Riguardando le immagini arrivate dalle terre intorno Messina.  E ritrovando il racconto di Marco Bruno, da “C’era una volta…”, scritto per i suoi alunni. Una fiaba che riporta al tempo in cui i racconti dei vecchi, intorno al fuoco popolavano le notti di esseri fantastici che spuntavano dal suolo, o scendevano da regioni sonosciute dei cieli, per vivere sulla terra quando l’uomo ancora non l’aveva ferita. Dunque. In una notte di luna piena, al limitare del bosco, là nel paese Eterno, dove la realtà confina con la fantasia, l’incontro di alcuni ragazzi alla ricerca di fate ed elfi, con un uomo dalla lunga barba bianca e dal grande cappellaccio nero: il Grigio, un grande vecchio, quando “vecchio” non sembrava ancora una brutta parola…

    Contestualizzando…

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    Provate ad eseguire una melodia seduti con il vostro strumento al centro di una stanza, al centro di una casa assolutamente priva di voci. Il suono si amplifica oltre ogni immaginazione. La perdita di confine fra la musica che abbiamo dentro e quella che che riusciamo a portare fuori diventa incontrollabile. Il suono si propaga lungo onde ampie, sempre più ampie. Disegna superfici che si allargano, si allargano, si allargano. Sulle quali si dilata l’anima. Che è una sensazione indescrivibile. Esaltante. Paurosa. In uno spazio muto bastano poche note insieme per sviluppare vibrazioni e forze infinite. Ma c’è un limite di dilatazione oltre il quale l’anima si perde. Se non siamo ancora pronti per il salto nell’infinito. Allora non basta battere la nota che segna il punto del silenzio. Per fermare la paura. (Angela, agela, angelo mio… Stampalternativa, p.35)

    Limiti

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    C’è un limite di dilatazione oltre il quale l’anima si perde. Se non siamo ancora pronti per il salto nell’infinito. Allora, non basta battere la nota che segna il punto del silenzio. Per fermare la paura.

    Un pensiero a questo Dio…

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    Solo poche righe, per lo stupore di un pensiero. Leggendo della storia, delicata e struggente di Eleonora de Fonseca Pimentel, poetessa, scrittrice e rivoluzionaria, che Enzo Striano ha ricostruito in un racconto d’incanto. Prima della sua tragica fine, assistendo al tremendo spettacolo dell’impiccagione di un giovane, giovanissimo rivoluzionario, ai tempi dei moti partenopei di fine settecento. Certi ragazzi, si dice, sono come Dio, generosi e sciocchi. Si costruiscono in testa le immagini orgogliose di un mondo, s’incapricciano a dargli vita. Appagano in ciò, si chiede, brame d’infinito amore? Un pensiero a questo Dio, ancora, generoso e sciocco…  Il resto di niente.

    La stazione…

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    Già… i fantasmi sono leggeri… un soffio e si può provare a mandarli via…come fumo… ma a ricordare la tremenda esplosione dell’episodio più sanguinoso delle stragi provocate dalla strategia della tensione … nella ricostruzione dell’ala della stazione distrutta, è stato lasciato uno squarcio nella muratura… una crepa pesante come la pietra…. E quell’uomo, che nella strage di Bologna ha perso tutto, “lui quella crepa nel muro proprio non la sopporta… gli sembra … una catacomba riportata alla luce per turisti di passaggio, una tomba etrusca salvata dall’oblio… una ferita… così ben rifinita… talmente ostentata che diventa patologia alla quale c’è il rischio di abituarsi… “(“La stazione” M.Fois)

     

    La stazione…

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    …e riappaiono i fantasmi…

    …accanto ai binari… …fra la folla indifferente…come un incubo al quale è impossibile sfuggire … la memoria è dolore insostenibile, a volte… una maledizione, a volte, come per il protagonista del racconto di Fois, ma rimane il dovere, collettivo, della memoria…

    La stazione

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    Ma da solo, al centro della scena rimane quell’uomo… che da quando è rimasto solo non ha mai pensato nemmeno per una volta a ciò che ha distrutto la sua vita… a quelle lamiere roventi, all’uscita numero uno dove erano stati sistemati tutti quei corpi… a quel telegiornale dove annunciavano che era saltata in aria la stazione… quell’uomo era rimasto quasi tranquillo… persino quando ha riconosciuto la moglie dalla collana o quando ha intravisto tra le cose ammucchiate dai soccorritori la bambola della sua bambina… Quelle cose le aveva rimosse quasi subito…Ripensando al protagonista, del testo di Marcello Fois “La stazione“. Due giorni prima di ripassare da Bologna. Attraversando la stazione…

     

    Sassi

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    Il racconto di  Alba Re. Il sasso e la luna. Un racconto sul silenzio e sulla voce, soprattutto sul desiderio di sentirsi parte di una comunità condividendone li linguaggio. Provando a far parlare la cosa più impenetrabile e muta che si possa immaginare, pensate un pò, un sasso… Ma nelle fiabe tutto è possibile. Dunque.

     

    C’era una volta un grande stagno in cui vivevano rane, ranocchi, ranocchiette verdi che gracidavano contenti giorno e notte. (cra…cra…) Sulle rive di quello stagno c’erano molti sassi: grandi, piccoli, rotondi, ovali, lisci e ruvidi, grigi, bianchi… insomma di ogni forma e misura… E fra questi ce n’era uno, ben modellato dall’acqua e dai venti che soffiavano raso terra, che aveva un gran desiderio: poter gracidare, come le rane nelle notti d’estate. Desiderio che sapeva irrealizzabile… tutti sanno da che mondo è mondo, che i sassi sono muti. Ma lui non dimenticava mai di chiedere alla luna di esaudire il suo sogno… e notte dopo notte… la supplicava…