Per la cronaca. Due giorni fa un detenuto si è suicidato nel carcere di Biella. 51 anni. Si è impiccato con i lacci delle scarpe. Per la cronaca: è il centodiciottesimo morto nelle carceri italiane per questo 2012. Il quarantunesimo per suicidio. La strage di Stato continua…
Stragi…
suoni… 2
Un saluto a settembre… con voci che ancora arrivano dal vicolo… ancora un parlare di terra di fado accompagnato da brevi accenni di chitarra… che questa volta però si fermano… e diventano concitato discorrere con qualcuno… dall’altra parte di un telefono… dall’altra parte del mare, sembra… rimasto ad aspettare sull’altra riva… e lui, il ragazzo ( che ora, è mattina, lo posso nella luce grigia sbirciare ) magro e aspro e dolce come la sua voce, presto se ne va… lasciando il vicolo muto. Peccato. M’ero messa, paziente, in attesa. Di un nuovo canto… Buon fine settembre a tutti!
Fermoimmagine
“Vedete questa foto? L’ho fatta fuori al campo di calcio e non in una cella, ma per la prima volta non vedo me stesso, vedo un’altra persona, guardo questa mia foto e mi domando chi è costui? Mi sembra uno sconosciuto, quando l’ho vista per la prima volta gli stavo dicendo che hanno sbagliato, che non è la mia foto. La guardo ancora dopo mesi e non mi riconosco, non so se sono io, forse il fotografo ha fotografato un carcerato che sono io, ma che non sono più io, io sono quello di Sulmona con il camice bianco che dipingeva in una stanza e non questo in un campo da calcio dentro a un carcere. Questo assomiglia a un avanzo di galera, e non a me che non mi sento tale. E’ come vedere una persona sconosciuta, una persona che ti sconvolge solo a guardarlo, ho paura che chi mi vede in questa foto ha la stessa paura che ho io, è come vedere una foto del vecchio west quando mettevano la foto con la taglia di un ricercato, per questo mi sconvolge”. Giuseppe Reitano
da: “Urla a bassa voce. Dal buio del 41bis e finepenamai”
Un racconto…

” Tutto è iniziato in un giorno di marzo, mentre tornavamo insieme alla scuola. Di solito era nonno Ignazio a venirmi a prendere e ad accompagnarmi a casa. Ma quel giorno, forse perché pioveva e c’erano molti ombrelli aperti e tanto traffico, nonno non ricordava più la strada giusta per ritornare…” poi dimenticherà tante altre cose, nonno Ignazio… come racconta il suo nipotino ne “La maglia del nonno”, di Gabriella Genisi, che ricordiamo per La circonferenza delle arance (2010) e Giallo ciliegia (2011), le inchieste della commissaria Lolì che hanno ispirato le serie televisiva per
… suoni
… ascoltando, salire dal vicolo (si dice vicolo? anche a queste latitudini?) un canto di pianto… è voce di ragazzo… è canto di fado… e suono pizzicato di chitarra… Senza avere il coraggio di affacciarmi e scrutare nella penombra, che è quasi sera… ma, s’immagina benissimo, sarà magro, come la sua voce, forte e sottile… che canta di mare e di amore e di qualcosa che sa di casa e di qualcosa che non c’è più…, e ora è tumulto e ora supplica e preghiera sommessa… Lo spagnolo… non è forse lingua, ha detto qualcuno, per parlare con Dio? E chissà chi piange, e chissà chi e cosa, cantando, prova a evocare… e ora, a un tratto, il ritmo è sussulti di colpi battuti sulla cassa della chitarra… un tumulto e poi si acquieta per riprendere poi il lamento… Non si ferma, questa voce di ragazzo e il vicolo ( sì, questa sera qui dietro c’è un vicolo, anche a queste latitudini) si riempie delle immagini strazianti che nel buio disegna questo suo solitario canto smarrito…
… e pentimenti
Continua il professor Ferraro….
“Anche Carmelo sentì questa esigenza. Mi sorprese quel giorno quando mi consegnò il testo del respingimento della sua richiesta di permesso. Vi erano elencate tutte le sue vicende giudiziarie. C’era anche il rilievo che non si era fatto pentito di giustizia ovvero collaboratore di giustizia. Strano ancora, viene da scrivere, non si usa l’espressione “pentito”, ma quella di “collaboratore di giustizia”. Evidente. Non si tratta di pentimento, come possiamo intenderlo nella sua parola, perché “collaboratore di giustizia” è chi porta notizia delle colpe di altri, di quanto altri stanno tramando o abbiano tramato. È difficile sentire la parola “pentimento” portata all’uso dello scambio di prigione. Che sia l’uno o l’altro il termine farsi pentito o collaboratore di giustizia in questi termini espone
Confessioni
Rileggendo da “Urla a bassa voce”, la postfazione di Giuseppe Ferraro, che insegna Filosofia della Morale all’Università di Napoli, e carceri e carcerati frequenta per insegnare loro filosofia. A proposito di confessioni e pentimenti…
“In carcere capii che cos’è la confessione. Avevo letto tante volte i libri di Agostino, le Confessioni. Ne ho più di un’edizione tra i miei libri. Confesso, è il caso di scrivere, che non ne avevo compreso il senso fino a quando non mi trovai di fronte Giuseppe. Mi chiese un colloquio personale, fuori del gruppo di classe del corso di filosofia che teniamo nel corso dell’anno. Non chiedo mai, che cosa e perché ha portato in carcere chi trovo in carcere. Giuseppe volle quel colloquio. Mi racconto tutto quello che lo aveva portato in carcere, quanto aveva fatto e cosa sentiva di essere allora e nel momento in cui mi parlava. Non gli avevo chiesto niente, mi disse tutto di se stesso. Capii allora il senso della confessione. Giuseppe doveva dirmi tutto quello che era stato per stare in una relazione di amicizia vera, per consegnarsi a quel che rappresentavo come regola di una relazione di verità. Non poteva nascondermi nulla, confessarsi equivale a liberarsi e consegnarsi a un’espressione della regola di giustizia che si esprimeva in una relazione di amicizia. Senza interesse. Di verità. Di esposizione. Sarebbe poi stato a me mantenere quella regola di relazione senza infrangerla perché esclusiva solo a chi è puro e senza peccati, mi viene da scrivere. Capii allora perché Agostino scrisse le Confessioni, per consegnarsi alla regola di relazione della sua esperienza religiosa ovvero della sua “che si può tradurre solo con confessione aperta di un legame, di un rilegarsi. Quasi, mi permetto la suggestione, di rilegarsi come rilegato è un libro che è scritto rispettando un ordine di discorso che chiunque può apertamente leggere e capire, rifiutandolo o sentendolo come proprio. Giuseppe, strano caso, ha poi scritto un libro”.
Lillà…
Andando, in visita in un ospedale… un mercoledì e poi il giovedì e poi il venerdì… Facendosi strada fra il brulicare di persone che si agitano fra i banchetti e i baracchini, e i bar e le edicole, e i venditori di mazzetti di fiori e quant’altro, del suq che sembra diventato il marciapiede tutto intorno all’ingresso. E anche varcato il cancello e seguendo i viali, dribblando il via vai scomposto di persone, personale medico e non medico, professori e assistenti, medici e infermieri, docenti e studenti, e familiari sparsi senza apparente ( e forse reale) ordine né disciplina… e piccioni, cornacchie, e un gatto stanco addormentato sulla soglia di un padiglione… Quale stupore piombare la domenica nel silenzio di un vuoto assoluto, quando, chissà, avevo immaginato di trovare nugoli di familiari, e bambini e, magari, palloncini colorati… Così, per allietare la tristezza di chi sempre aspetta qualcuno che venga in visita… perché ancora più triste di qualsiasi altro giorno è il giorno di festa in ospedale… Ma già, che stupida… E’ domenica per tutti. Per gli edicolanti, i baristi, i venditori di cianfrusaglie… è domenica per gli studenti, i medici, gli infermieri… è domenica anche per i parenti… Rimangono i degenti, un pò più tristi del solito, un pò più soli del solito, avvolti da un mesto silenzio che, solo, più in là, rompe qualche cornacchia. Non c’è neanche quel piccolo omino che mercoledì, giovedì, venerdì, aveva tentato di vendermi un mazzetto di fiori del colore dei lillà, che lillà non erano… Peccato, proprio domenica, che avevo deciso di acquistarne almeno uno… Per fortuna, è poi già lunedì, e poi martedì… e rispuntano mazzetti di fiori del colore dei lillà, che lillà ancora non sono…
L’inivito di don Luigi Ciotti
Urla a bassa voce. La prefazione di don Luigi Ciotti
“Urla a bassa voce, con le sue voci dal buio, è un libro importante e necessario. Ci costringe ad aprire gli occhi di fronte a una realtà che non ci piace. Ci obbliga a conoscere ciò che non vorremmo sapere, realtà che vorremmo tenere distanti dalla nostra vita e che – di fatto – ci riguardano. Urla a bassa voce è anche un libro di non facile lettura perché documenta e informa anche su che cosa significa – per il nostro ordinamento – “ergastolo ostativo”. Il termine, di per sé duro e respingente, significa che qualsiasi riduzione di pena decisa dalla legge per chi è in carcere, è negata a chi vive la condizione dell’ergastolo. Per chi è condannato all’ergastolo – detto in altri termini – non ci sono benefici di legge possibili sulla pena. Vale a dire che l’ergastolo è totale, effettivo e senza termine.
Non è “una” facile lettura perché in contesti di reati, di delitti, di difesa sociale e di torti subiti…, non è possibile attivare il pensiero semplice. Le ragioni (sacrosante e legittime) di chi dal delitto è stato ferito nella vita e negli affetti non possono essere negate, così come non può essere dimenticato che ci è chiesto di muoverci nella direzione di una giustizia che sappia riparare, essendo in realtà impossibilita a risarcire davvero, poiché alla perdita di un bene supremo qual è la vita non c’è rimedio possibile.
Impedire alla giustizia di diventare vendetta è la vera sfida a cui siamo chiamati. Impedire che la giustizia “chiuda” chi ha sbagliato nel suo errore (e gli neghi le possibilità del cambiamento) è l’altra faccia della stessa medaglia.(…)
A Gerusalemme
… e con grande tristezza, per quella terra dove avrebbe voluto andare a chiudere i suoi giorni. La terra verso la quale non riesco a non pensare si sia già incamminato. Perché ognuno, so, arriva nell’aldilà che si è costruito. Sia pure questo, solo pensiero di terre di mezzo in attesa di ritornare al niente o al tutto nel quale si è creduto. Non conosco i tempi del procedere quando leggeri del corpo, ma chissà…. forse è già sul limite della valle di pietra e di pietre. Ai piedi delle mura colore di terra e sabbia, ma che al tramonto bruciano come oro rosso. O forse le ha già attraversate, quelle mura, passando per la porta dei Leoni, per riaffacciarsi al suq, a barattare, magari, con gioia sommessa, quel suo primo bastone che lì aveva comprato…