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    Al mio fantastico amico

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    Ancora una poesia, di uno dei ragazzi di Giovanna Cantoni. “Al mio fantastico amico”, ed è  stata scritta da Emilio. Il suo fantastico amico è un ragazzo rom…  ascoltiamo…
    “Ho un amico magnifico, fantastico, / spinge la mia carrozzella per andare in classe; / mi fa salire le scale / e a volte a guardare dal davanzale: / è le mie braccia e le mie gambe. //Studia con me / e dice: “sono aiutato da te” .// Il mio amico fantastico / Rom, zingaro, nomade per tutti / per me gentile e caro / Luigi, amico assai raro.//Il suo popolo è riconosciuto da trent’anni/ anche se esiste da tremila anni./ La sua storia fa invidia: e le sue origini sono in India. / I Rom non hanno una terra / e non hanno mai fatto la guerra, / non hanno sfruttato nessuno / hanno sofferto emarginazione e digiuno.//Nel giorno della memoria, / quando si profonde l’oratoria, / dei Rom tutti si dimenticano / che migliaia ne ha uccisi il lager nazista / e gassati la furia razzista. / Nessun Rom ucciso ha un nome scritto in un libro, / a nessuno di loro è stato dedicato un monumento / quasi fosse un comandamento / dei Rom l’esistenza dimenticare / e ad altre cose pensare. / Il prof della Shoah ha parlato, / ho detto: “prof dei Rom ti sei dimenticato”. / “Che cosa c’entrano? / Degli Ebrei dobbiamo parlare, / degli Ebrei è l’olocausto”./ //Non ho risposto/ il capo ho nascosto /per la vergogna, / mi sentivo veramente alla gogna / per non essere andato fino in fondo / “scusami, amico, tu sei il mio mondo./ Per viltà non ti ho difeso / spero di non averti offeso”

    Emilio adesso non c’è più. E forse il più bel ricordo, che ci lascia Giovanna Cantoni, della sua storia è l’immagine dei due amici, Emilio e Luigi, in prima fila ad ascoltare la conferenza sullo sterminio dei Rom che il padre di Emilio, per rimediare alla grande delusione dei due ragazzi, ha organizzato nel suo paese.

    L’olocausto…

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    Il 27 gennaio torna il ricordo della Shoah, lo sterminio degli ebrei nei lager nazisti … e c’è uno sterminio di cui raramente si parla. Quello delle persone disabili, “vittime dimenticate”, come i rom, gli omosessuali, i testimoni di Geova… “ascoltate” questa poesia… l’ha scritta Nicoletta, piccola amica di Giovanna Cantoni, l’ispettore del Ministero della Pubblica Istruzione, si è già affacciata con i suoi ragazzi su questa riva…,  che ha raccolto poesie di bambini disabili di tutta Italia

    “Una conferenza ho ascoltato / che mi ha scombussolato / Giovanna raccontava / e mentre parlava /// io vedevo dei disabili l’olocausto / in un periodo assai nefasto. ///
    Se fossi nata cinquant’anni prima / sarei la milionesima vittima:  / anch’io sarei un mucchio di cenere / nella totale indifferenza, /  tranne qualche rara ricorrenza. / Sarei stata nel lager nazista / in attesa di essere gassata / come una bestia macellata. / O insieme ad altri portata, come una mandria,/ in una stanza a sentire l’aria portarmi via / insieme alla vita mia. /// Tutto questo sarebbe successo / perché parlo in modo sconnesso, / cammino con grande fatica,/ e la mia testa è un po’ caotica / e spesso sembro sclerotica. ///  Vorrei conoscere il mondo / ma questo mondo non mi piace / e non mi dà pace / tutto l’orrore del mondo”.

    Nicoletta aveva quattordici anni quando ha composto queste parole … e “Giovanna che raccontava”  … è Giovanna Cantoni. Quel giorno, per la prima volta Nicoletta ( che ora va all’università) aveva sentito parlare dello sterminio dei disabili nella Germania nazista, l’Operazione T4…  quella conferenza l’aveva davvero sconvolta. Nicoletta, ragazzina tanto “chiacchierina”, per alcuni giorni si è ammutolita. “Io non pensavo…” le uniche parole soffiate a testa bassa, tornando a casa, quella sera. E poi più nulla. Già perché … noi ad esempio…  presunti non disabili, non ebrei, non omosessuali… alla fine pensiamo sempre che la cosa riguardi altri… mentre lei sì che si è sentita e si è vista possibile vittima… “solo perché parla un po’ sconnessa” …  una frase breve, che contiene tutto l’orrore, la perdita di senso … e gli interrogativi che ancora si aprono su un abisso… cos’è l’uomo… cosa può essere l’uomo…

    La poesia è tratta dal libro “Poesie dalle scuole“, a cura di Giovanna Cantoni. Alberto Perdisa Editore

    Nessuno resti a terra…

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    Da una riva di mare, appena appena più a nord, questo invito a navigare, e a imparare a farlo, anche quando si è uomini di terra…

    A un tratto provai quella sensazione incredibile ma mai dimenticata di quando molli gli ormeggi e piano piano cominci a muoverti. Non si può esprimere cosa vuol dire per una barca navigae… mi vennero alla mente i meravigliosi versi di Paul Verlaine che il mio armatore amava declamare a ogni partenza: “Ma poiché torna a sorridere,/ finito l’uragano, /l’avvenire, con la fronte incoronata/ di fiori indorati da un gioioso sole,/ speriamo, amica mia, speriamo!

    Questa è la voce di Eea, barca a vela che accompagna, come in un diario, la narrazione di “Nessuno resti a terra”, che è la storia, raccontata da Giovanna Caratelli, della rinascita di una barca a vela che era stata abbandonata, ma anche la storia degli “amici della darsena”, che è un’associazione, con base a Civitavecchia, di persone che da sempre vanno per mare, in vela, e un giorno hanno deciso di portare a cavalcare le onde ( e non solo del mare) chi da solo forse non ce l’avrebbe fatta… (…)

    Un pensiero

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    Si nasce
    non soltanto per morire,
    ma per camminare a lungo
    con piedi
    che non conoscono dimora
    e vanno oltre ogni montagna

    Alda Merini

    Un pensiero… mandato da Peppe dell’Acqua, con gli auguri per questo anno… essendo ancora in tempo… rigiro… pensandoci un pò su…

    La baracca degli angeli

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    “Vorrei entrare in una sala piena di gente e vorrei che nessuno si accorgesse di me. Vorrei che la gente per strada non mi guardasse come un marziano, ma come se fossi un bambino come gli altri, perché anche la mia mamma mi ha detto che sono un bambino come gli altri”…  “non riesco a immaginare il mondo che vorrei.. vorrei non dover pensare al futuro insieme ala mia malattia” …  “Nel mio mondo ideale vorrei che tutti potessero uscire di qui. Oppure rimanervi, ma da bimbi sani”…
    Fabio, Marta, Giovanni, e i loro sogni… sono alcune delle immagini più belle e toccanti della  “baracca degli angeli”. La baracca degli angeli, che è un libro scritto da Roberto Gatti, che e’ manager di un grande gruppo bancario e,  fra le altre tante cose, ruolo che svolge da volontario, è  consigliere d’amministrazione della fondazione Don Gnocchi. Un  libro per parlare del dolore innocente, del dolore dei bambini… e di una figura, quella di don Gnocchi, che tanto sembra aver affascinato Gatti. Che del sacerdote imprenditore ci regala soprattutto la figura dell’uomo che, alla fine della guerra, ha voluto fare qualcosa per i figli dei suoi alpini, quelli che nel conflitto aveva visto morire. I bambini che pure la guerra aveva straziato nel corpo e nell’anima, lasciandoli orfani, lasciandoli mutilati. Per loro, Don Gnocchi ha cercato di costruire un presente e un futuro, sostituendo, surrogando, dice Gatti, la famiglia che non c’era più, aitandoli ma anche cercando di guarirli. (…)

    Un pensiero arbitrario…

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    Ecco, l’integrazione si è compiuta… Più che con le parole e le buone intenzioni, più che con la conoscenza, cercata magari attraverso il sapore dolciastro dei nidi di rondine e degli involtini primavera, magari sull’onda sinuosa della musica delle feste… , si è compiuta con lo spietato omicidio di una bambina e di suo padre, nel negozio del quartiere romano di Torpignattara che l’uomo gestiva. Un uomo e la sua bammbina che erano cinesi. Ma erano, soprattutto, un pezzo di questa città, nelle sue maglie, nel bene e nel male, come tutti, imbrigliati… Benvenuti, tutti, nell’anno del Dragone demoniaco guardiano di tesori nascosti…

    Buon anno!

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    Ancora in tempo per gli auguri di buon anno. Con le parole di un ergastolano, Carmelo Musumeci, che dal carcere di Spoleto, spesso su queste pagine si affaccia.

    Buon anno ai prigionieri e a tutti i prigionieri di se stessi;
    buon anno agli uomini in nero del ministero d’ingiustizia che gestiscono le persone senza essere persone;
    buon anno ai giudici che pretendono di giudicare senza essere giudicati;
    buon anno a tutti gli innocenti, pure ai colpevoli e a quei colpevoli di essere innocenti;
    buon anno alle guardie carcerarie sperando che si ricordino che per gestire le persone bisogna essere persone;
    buon anno ai forcaioli purchè si ricordino che il carcere è come un’autostrada e ci potrebbero passare pure loro;
    buon anno a quelli che sono morti per essere vivi ed a quelli che tentano di essere vivi per non morire;
    buon anno a quelli che non sono buoni per andare in paradiso e ai cattivi che non hanno paura di andare all’inferno;
    buon anno a tutti quelli che soffrono, piangono, ridono e sono felici, ai pazzi ed ai normali che fanno i pazzi per non impazzire;
    buon anno a quelli che hanno speranza, a quelli che l’hanno persa e a quelli che si illudono e sognano e a quelli che non reggono il peso della prigione e della sofferenza;
    buon anno a tutti i prigionieri del mondo, pure a quelli di Guantanamo;
    buon anno a tutti quelli che si sono tolti la vita in carcere;
    buon anno a quelli che si sentono piccoli perché solo così si può essere grandi;
    buon anno a quelli che credono che la verità non è che un aspetto della verità;
    buon anno a quelli che credono che il giudizio per essere giusto dovrebbe tener conto non soltanto del male che uno ha fatto ma anche del bene che farà, non solo della sua capacità di delinquere ma anche della sua capacità di redimersi;
    buon anno a quelli che sono solo ciò che sono, che non si piegano alle ingiustizie e non si rassegnano;
    buon anno anche ai deboli che sono forti perché non lo nascondono;
    buon anno a quelli che fanno il male così pienamente e allegramente come quando devono punire i prigionieri;
    buon anno a tutte le vittime dei prigionieri e quindi ai prigionieri vittime di se stessi e della società;
    buon anno ai nostri aguzzini che non ci fanno capire dove abbiamo sbagliato ma ci puniscono solo perché abbiamo sbagliato;
    buon anno a quelli che capiscano la giustizia vivendo l’ingiustizia fra le mura di un carcere;
    buon anno a tutti i prigionieri che pure in catene pensano da uomini liberi;
    buon anno anche a dio sperando che la smetta di essere dio;
    buon anno ai deboli, ai derelitti, agli ultimi e ai potenti, ai poveri, ai ricchi che sono poveri, a tutti noi che siamo, a quelli che non ci sono più.

    Carmelo Musumeci

    Insomma, buon anno a tutti

     

    Pensiero di Natale…

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    Buongiorno Gesù, sono Madonna! Una bambina rom incarcerata insieme alla mamma. Sicuramente ti ricordi di me, vero? Ho lo stesso nome della tua mammina e sono certa che stai vedendo tutto quello che ci stanno facendo, anzi credo che conosci bene questa storia perché hanno perseguitato anche te da piccolo. Non sappiamo più cosa dobbiamo fare per aiutare le nostre mamme. Nel bel mezzo della notte mi sveglio piangendo e sentendo la nostalgia della nonna e dei miei nove fratellini. Caro Gesù, noi sappiamo che le nostre mamme hanno sbagliato, ma noi cos’abbiamo fatto? Perché non abbiamo il diritto di giocare con gli altri bambini?  Perché non possiamo giocare con la neve e aiutare le nostre mamme a preparare l’albero di Natale, e poi come farà Babbo Natale a lasciarci i regali, se alla finestra ci sono le sbarre e non hanno ancora messo a posto il camino? Lo sai Gesù?! Io, Christian, Giosuè e Kimberly abbiamo deciso di fare come gli adulti, lo sciopero del pianto e se nessuno ci ascolta, o fanno finta di non sentirci, Kimberly, che è la più alta di noi, dipingerà le cabine degli agenti e tutte le mura del corridoio con i colori del Natale.

    Un brano tratto da “Passeggiando con Amanda” di Florisbela Inocencio de Jesus. Gabriella non ha potuto fare a meno di mandarmelo e io non ho potuto fare a meno di pubblicarlo… Buona continuazione di feste a tutti…

    Vecchi da morire

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    A ridosso dell’anno che muore, un viaggio nel luogo dove i vecchi sono mandati a morire. Che non è, ahiloro, la montagna e l’albero dove popoli antichi lasciavano che i loro vecchi andassero a ricongiungersi con l’anima della terra… Perché i vecchi del nostro tempo non vorrebbero affatto lasciare il loro orizzonte quotidiano… perché sanno, i vecchi del nostro tempo,  che il luogo dove vanno ad essere rinchiusi, non sarà mai luogo di comunione, piuttosto di frattura definitiva con il respiro del mondo.

    Se ci entri da adulto, la prima volta ti colpisce perché non avevi mai visto prima, tutti insieme, tanti vecchi. Sono in prevalenza donne, e tutte così diverse tra loro: persino i capelli imbiancati hanno diverse sfumature…(…) Tanti occhi ti guardano incuriositi quando ti vedono. Altri rimangono semichiusi o scrutano il vuoto… (…) Verrebbe la pena chiedersi perché chiamiamo “casa” un luogo che non è casa, e “di riposo” un luogo dove la sveglia suona alle sei del mattino….” . Le prime immagini di “Vecchi da morire”, edito da Stampalternativa. L’autrice è Silvina Petterino, che è infermiera e ha voluto raccontare in un libro denso di emozioni cos’è la vita nelle case di riposo. Un libro dove la parola che più torna è “solitudine”, perché non c’è struttura, lei scrive, per quanto efficiente che possa restituire a un anziano il senso dell’appartenenza. Cosa può fare un’infermiera, che capisca questo? Da sola nulla, risponde Petterino. Ma insieme agli altri sì… insieme agli altri infermieri si può costruire un rapporto che non sia fatto solo di cura, organizazzione, medicine, ma di ascolto, attenzione e rispetto. (…)

    Tempo d’avvento…

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    “Non voglio coltivare lo spirito d’indipendenza; non voglio coltivare quell’orrore del debito che era tipico del galantuomo ottocentesco, positivista e sufficiente, che riteneva di non dover nulla a nessuno e traduceva, in una norma d’onore economico, il proprio orgoglio e la propria cecità. Io so di dover tutto a tutti: a cominciare da Dio e dal sangue e dal latte di mia madre, per finire con l’aria che respiro (…) So bene di dover tutto a tutti e non mi voglio “sdebitare”. Quando qualcuno mi fa un dono e non vuole il “ricambio”, lo accetto, perché neanche a me piace di “ricambiare”, quasi a ristabilire parità improponibili. Io accetto il dono e resto in debito. E se poi, a mia volta, posso fargli un regalo, è un regalo e non una restituzione, un pareggio di conti. “Così – gli dico – io resto in debito; e mi piace; adesso sei in debito anche tu. Non siamo in pari: siamo entrambi reciprocamente debitori; e possiamo dir grazie “

     

    Un pensiero, dal libro di Adriana Zarri, “L’eremo non è un guscio di lumaca“, che mi ricorda, inviandomelo, Gabriella. Insieme a questo suo pensiero che condivido e rigiro, per una riflessione natalizia

     

    “Questo brano, dal libro della Zarri che mi hai consigliato, credo che si sposi bene con il periodo natalizio e con la smania di contraccambiare sempre in termini di esagerazione. Ho ricevuto un fiore, ricambio con un mazzo enorme per dimostrare, in maniera più o meno inconscia, che “posso”. Confesso che sono caduta anch’io in questa trappola consumistica, ma fortunatamente l’aver perso ogni bene materiale mi ha fatto scoprire il piacere delle piccole cose”.