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    Home Blog Pagina 128

    Il tasto rosso, un racconto…

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    Un racconto, ce lo regala Daniela Morandini, che di radio e di Bologna, sa qualcosa… Il tasto rosso, dunque.

    “Angelo Neri era  un uomo felice. Era la voce più importante della Radio e aveva un bel po’ di soldi in titoli. Non era né bello, né brutto, ma, considerata l’età, sapeva di piacere, e di poter puntare sul fascino del giusto. Viveva  con  Irina, un po’ abbondante,  con  i capelli lunghi e molto più  giovane di lui. Da quando tempo stavano insieme non lo ricordava con precisione. “Ciao tesoro, domani vengo con te “ gli sussurrò. Lui la baciò sulla guancia, di lato, come fanno le vecchie signore, e uscì. Come ogni mattina, andò in via Belmeloro, al sei, nella zona universitaria, proprio davanti alla facoltà di lettere. Un  palazzo signorile, con una grande scala e il portiere: Giovanni, uno dei pochi a Bologna rimasti a sorvegliare le case, a pulire i cortili , a lustrare le targhette di ottone  e, qualche volta, ad aiutare le filippine a portare la spesa. “Direttore buongiorno “ gli andò incontro Giovanni.

    guerre…

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    … e così, tutti concentrati su quel che accade in Libia, bombardamenti sì, bombardamenti no, comando io comandi tu, bombardamenti, comunque, infine… e con un occhio, sempre più distratto a dire il vero, al Giappone, neppure abbiamo fatto caso alla tensione cresciuta in terra di Palestina. Oggi,  questa cronaca dalla striscia di Gaza, che invia Vittorio Arrigoni, che sempre, ostinatamente, nonostante tutto, firma i suoi messaggi con questo invito: “restiamo umani”.

    “…i 300 metri di corsa piu’ disperati della mia vita, sotto caxxo di droni ed elicotteri apache. Energia tagliata su tutta Gaza city, sono riuscito a rifugiarmi in un appartamento dotato di generatore per l’ energia elettrica. Poco fa, elicotteri apache hanno lanciato una decina di missili nei pressi del porto. Bombardamenti a tappeto lungo tutta la Striscia. Bombardamenti nell’area residenziale di Sheikh Ejleen. Colpite la centrali elettrica di Gaza city. Siamo avvolti dall’oscurità, terrore fra la popolazione civile. Sembra di vivere la vigilia di un nuovo Piombo Fuso”.

    Aggiornamenti costanti qui: http://.facebook.com/pages/Vittorio-Arrigoni/290463280451

    Un canto

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    Celebrando, in questo inizio di primavera, la Giornata Mondiale della Poesia. Con questi versi, di Grazia Frisina.

    Canto.   Cosi’ muta nella gola/ Cosi’ difficile la nota / da percorrere / o solo    intercettare / che sempre da sonorita’ peregrine / e’ condotta / senza raceudine / / Scuotono corde: Inespresse / (s)composizioni // Un’eco- bassa di marina / sull’orlo dell’oro / in punta di lingua / torno torno il labbro / alla fine del giorno // Per me / Sola / Canto

    Canto, dunque, che mi piace accompagnare, con questo angiolino, che Emanuela Bussolati, ha dipinto, un giorno, sull’asfalto..

    Pulce non c’è

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    Da una riva vicinissima, che si nasconde, a volte, pur accanto a noi… “Pulce non c’è”, il racconto di una giovanissima scrittrice, Gaia Rayneri, che riesce a trasformare una vicenda terribile, vissuta da lei e dalla sua famiglia, in un romanzo delicatissimo e pieno di forza al tempo stesso. La storia di Pulce è  la storia della sorella piccola dell’autrice. Pulce è affetta da autismo. Pulce beve solo tamarindo, fa sculture con il pecorino, ascolta Bach… Un giorno come tutti gli altri Pulce viene allontanata dalla sua famiglia. E nella maniera peggiore possibile. Alla mamma, che come sempre, va a prenederla, le viene detto che “Pulce non c’è “, che è stata portata lontano da una famiglia che, sembra, per lei non vada più bene… Solo in seguito si comprende, dagli interrogatori cui vengono sottoposti un pò tutti in casa, che sul padre grava il terribile sospetto di abusi e violenze nei confronti della bambina. Alla fine si scopre che nulla è vero… Tutto nasce da malintesi imperdonabili, anche da una certa ignoranza e arroganza… La cosa terribile, spiega l’autrice, è che fin dall’inizio “le prove dell’errore sono chiare”, ma intorno ci sono solo muri ottusi, e la burocrazia va avanti… E’ la storia, questa, anche di una sorta di perdita di lucidità collettiva.(…)

    Silenzi…

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    Cercando, le parole nel silenzio. O il silenzio nelle parole. Trovandoli, entrambi, nell’affascinante raccolta di scritti di Adriana Zarri. Libro dolce e provocatorio come il suo titolo: Un eremo non è un guscio di lumaca. E ascoltare, dalle parole scritte nel silenzio di quell’eremo, il racconto del tempo delle stagioni, dei giorni e delle notti, della comunione con la terra e i suoi frutti e i suoi animali. Della comunione più profonda con il mondo e con la sua gente, che pure da quell’eremo passa. Inquietante, pure, questo libro. Perché pervaso di dolcezza spietata. Come spietato è il rigore della strada che indica. E che pure attrae se con tanta forza riesce a farne annusare il profumo. Profumo di pienezza. Per una solitudine che si svela come null’altro impastata con il mondo. Ecco… solo i primi pensieri, dopo i primi capitoli, cercando in questo libro una risposta all’obiezione di chi pensa il silenzio solo come un chiudersi alla comunicazione, negandone la capacità d’ascolto. Ecco, una prima risposta, parlando del Natale, a pagina 81: “Ricordo quando abitavo a Roma, in una di quelle case con le pareti di carta velina(…) e mi giungeva confuso il chiacchiericcio vuoto di tavolate che s’intuivano convenzionali, con discorsi di nulla. (…) Sentivo il pomeriggio che naufragava in chiacchiere sempre più stanche. E il mio silenzio, invece, a onta di quelle interferenze, si faceva più denso, più compatto, più felice. Tanto più adesso che la mia casa ha solide pareti contadine e al di là c’è soltanto la stalla e lo starnazzare dei polli“. Davvero, questo, come suggerisce la controcopertina, un libro da ascoltare… per trovarla, e comunicarla, infine, quella felicità compatta del silenzio…

    Paure

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    Eccola, la grande onda. La grande onda dipinta da Hokusai. Forse la sua opera più conosciuta. Rieccola, la Grande Onda. Oggi come sempre, è talmente maestosa, e paurosa, e tutto lo spazio tende ad invadere e travolgere. Così spaventosamente grande che quasi non si nota il soggetto al centro del quadro, la veduta del monte Fuji. Il monte Fuji,  così piccolo nel dipinto, come a un attimo dallo scomparire, nell’abbraccio della spirale d’acqua. Oggi come allora, come sempre. Talmente potente, l’onda, che solo tornando e ritornando a scrutare le pieghe del dipinto, si scorgono, già arresi alla forza di quel mare, i legni delle barche. E neppure sorprende trovarle già vuote di marinai…e oggi corpi cominciano a riaffiorare…

    Buongiorno…

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    Salutando, questa domenica un pò grigia, un pò quasi primavera, anche se finge di non esserlo… Una riflessione di Daniela Morandini, a proposito di saluti, salutare, salutarsi… Per pensarci un pò, guardandosi intorno, e guardandosi nel cuore…

    “Il saluto, concepito in tutto il mondo come (buon)  auspicio (buongiorno, good morning, guten tag, bon jour, buenos dias…) è stato fagocitato dall’osceno. Così come è in disuso la stretta di mano che, all’origine, voleva dire “ non sono un pericolo: ti mostro che non sono armato”. Abbattuta la pur ipocrita cortesia borghese, domina l’affermazione del sé, attraverso la negazione dell’altro. Accenna ancora al saluto chi è condizionato da quel che resta  dell’educazione convenzionale del 900. Ma poi, pentito, aggiunge i puntini di sospensione: “Buongiorno…”. I puntini sottintendono: “Mario…?Giovanni…?X….?Y….?”. (…)

    Pensiero di marzo

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    Gli uomini… Attraversano l’inverno con il cuore buio. Ad affannarsi, azzuffarsi, azzannarsi, a volte. Un vero inferno. Poi, qualcosa a primavera scioglie loro il cuore. Allora sembrano dimenticare il tempo e la furia, e si cercano, si annusano, si scelgono. Si accoppiano. Ed eccolì li, a scambiarsi parole… Passerà, anche questa primavera. Resteranno, di queste parole, i segreti. Che il fiume borbottando sempre trattiene.

    Architetto di sogni…

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    Un anno dopo…

    Non sono un architetto. Poco o nulla so di Bioarchitettura, se non lo stupore entusiasta degli occhi azzurri e spalancati di quell’architetto di utopie ( così in fondo l’ho sempre pensato) che era Ugo Sasso. E con utopia non alludo a qualcosa di impossibile e lontano. Anzi, ne ho sentita giusto qualche giorno fa, una bellissima definizione, non ricordo purtroppo di chi: “Utopia è quella cosa che quando facciamo un passo verso di lei si sposta di un passo, e se per inseguirla ne facciamo due, si sposta in avanti di due passi… e così via“. L’utopia, insomma, quello che ci fa andare avanti. La sua utopia Ugo Sasso la raccontava sempre così, come qualcosa appena lì davanti, a un soffio da noi. Un sogno che era a un attimo dal divenire presente, e quasi si meravigliava che per tutti così non fosse. D’altra parte bisognava solo essere ciechi per non leggerlo tutto, l’oggi della sua utopia, nelle linee delle sue iridi. Forse per questo spalancava sempre gli occhi, per farcelo entrare tutto intero il paesaggio di quel suo sogno. Ho conosciuto Ugo Sasso proprio il giorno di un suo compleanno. Di passaggio a Roma insieme con Wittfrida. E’ arrivato nascosto dietro un grandissimo mazzo di fiori. Erano lilium, lo ricordo ancora, bellissimi. Per la padrona di casa. Me li ha porti con gesto da signori d’altri tempi, emzionante, raro…

    E per ricordarlo un libro: “Le radici della Bioarchitettura”. Accompagnato da testimonianze di chi l’ha conosciuto, raccoglie la sua storia e il suo pensiero. Il libro, fortemente voluto dall’infaticabile sua compagna, Wittfrida Mitterer,  cofondatrice con Ugo Sasso  dell’Istituto nazionale di Bioarchitettura, e direttore responsabile del periodico bimestrale “Bioarchitettura” , la prima rivista italiana ad occuparsi di architettura ecosostenibile e biocompatibile.

    Le parole nelle mani…

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    Raccontare con le parole e con le mani è un cofanetto che raccoglie piccoli dialoghi, filastrocche, ninne nanne, … brevi storie pensate per piccoli italiani e stranieri, udenti e sordi, segnanti e non… in linea con il coraggioso e affascinante progetto editoriale della casa editrice Sinnos. Mente e autrice ne è Marisa Bonomi, psicoterapeuta infantile, che per aiutare a comunicare un piccolo sordo, italiano o straniero che sia, ha scelto la dimensione del racconto, la via, dice in qualche modo, per arrivare al cuore, per costruire un varco che è anche fra culture. E la lingua dei segni, in queste pagine, fa da ponte fra l’italiano, l’indi, l’arabo… Una lingua importantissima, questa lingua dei segni. Per un bambino sordo strumento ben più naturale per comunicare, per costruire un ponte, soprattutto, fra mamma e bambino, un ponte di parole che nascano fra loro leggere… Peccato, ricorda Bonomi, che questo prezioso strumento sia piuttosto osteggiato, soprattutto in Italia, dove il bambino sordo è un bambino malato, dove la risposta tende ad essere quella medica. Dove si vorrebbe che si imparasse subito, e presto, a parlare… che una società di udenti vuole tutti adeguati al suo unico linguaggio. E a volte può anche essere un risultato raggiungibile, ma non sempre lo è… sicuramente non lo è per un bambino molto piccolo… e allora perché perdere del tempo prezioso per imparare parole… Raccontare, dunque, con le parole e con le mani… (…)