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    Uomini ombra

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    Ritornando, al libro di Carmelo Musumeci, “Gli uomini ombra”. Per dargli ancora un pò di voce, volentieri pubblico la bella recensione che ne ha fatto Margherita Hack. Leggete, vi prego…

    “E’ un libro sconvolgente, opera di chi in carcere è diventato un grande scrittore, che scrivendo riesce a sopportare quella morte al rallentatore che è il carcere a vita, l’ergastolo ostativo, il “fine pena mai”. Sono racconti in parte veri, in parte romanzati, che rispecchiano  la violenza di chi ha potere su i carcerati e l’ansia di libertà, di giustizia, l’amicizia profonda che si stabilisce fra compagni di pena. Quando si legge di casi reali di giovani rei di aver partecipato a qualche manifestazione, o di aver reagito alla forza pubblica, che entrati in carcere in piena salute ne escono avvolti in un lenzuolo e con sul corpo i segni  di pestaggi selvaggi, si vuol credere che si tratti di casi eccezionali, poi si pensa a quello che è successo durante il G8 a Genova e si comincia a dubitare. Il carcere che dovrebbe essere scuola di riabilitazione si rivela un centro di abbrutimento per i carcerieri e di annullamento  della personalità dei carcerati a cui questi si ribellano con  la violenza, carcerieri e carcerati egualmente vittime di un sistema degradante. Leggendo questo libro ci si sente in colpa per avere avuto un’infanzia felice, (…)

    Il buio e la rosa…

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    La bambina cieca e la rosa sonora. Dalla riva della poesia, che diventa canto e suono e musica. Un testo per voce e orchestra che l’editore Lieto Colle racchiude in un’elegante confezione, che è un libro, un dvd, un cd, perché anche chi non vede possa godere del racconto… Anna Maria Farabbi, l’autrice del testo, scarno e potente. “Goccia il tempo. E’ potabile, lo bevo e mi ci lavo. Mi invecchio e rimango piccina. Sento, nonnina, perché mi hai fatto cieca con l’orecchio che è tutto il corpo. Che io vorrei entrare nell’acqua e sciogliere tutto il buio, tutta la paura del buio, della morte, tutto il canto, la gioia. Vorrei… vorrei sì diventare una pescia d’acqua nell’acqua.  Nuotando indietro di nascita in nascita. E poi giù, fino alla festa del grande mare“. La bambina cieca… un io piccino, un seme, dice Anna Maria Farabbi, una testimonianza esemplare, nella vita dell’universo. La bambina sfida il silenzio, con domande che vorrebbero sciogliere il buio. Ma è possibile sciogliere il buio? E’ possibile, risponde il poeta, che tanto dice di aver imparato dall’incontro con chi è cieco. E’ possibile, se la vera disabilità da vincere è quella dell’anima, se l’occhio che l’anima svela è come un occhio di pipistrello, nulla a che vedere con la materia e la forma… l’occhio che è sonar per orientarsi nello spazio infinito dell’universo e in questo nuotare. E passando attraverso il corpo, che pure è ricco e pieno di doni, sciogliervi l’anima, come in un liquido aminiotico. Dice il poeta… La bambina cieca e la rosa sonora, sintesi perfetta tra il silenzio non visto e un sentire che non c’è. Incontro di assenze… per il viaggio della bambina nel buio… E c’è la musica a ricondurla nel mondo.. La musica di Vincenzo Mastropirro, lui stesso poeta, poeta e musicista che sa come tessere musica e versi… e dà al racconto un respiro infinito. Cos’è la rosa sonora? L’esplosione di petali che segnano la via… Disegnavano le antiche divinità il mondo con il suono… il suono di Mastropirro, che sono respiro di flauto,  e voce di sax, e dita di piano, e percussione di battiti, disegnano, come voce di vento, dal buio verso la luce, una strada di speranza…

    La bambina cieca e la rosa sonora, testo per usica di Anna Maria Farabbi, musiche di Vincenzo Mastropirro, interventi visivi di Massimo Achilli. Ed. Lieto Colle.

    Libia e dintorni…

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    Tremando, alle cronache che arrivano dalla riva sud del Mediterraneo. Alle immagini, che arrivano. Ma anche, e soprattutto, al pensiero di quelle che non arrivano, soprattutto delle tante che da quella riva non si sono mai potute mettere in viaggio. Ma che compongono un vuoto affollato quanto mai. Che l’ostentazione dell’immagine del potere non riesce a nascondere. Rimaniamo, ancora, a guardare, davanti al dolore degli altri. Che urla, sentite? vedete?, tutt’intorno…

    L’educazione buona…

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    Ma quale educazione ormai? Domanda, che spesso ritorna, guardandosi un pò intorno… Una risposta in questo appunto di Daniela Morandini, che volentieri offro alla riflessione…

    “Nella società fluida la dignità è nell’-educazione buona-. Così come un tempo la fierezza era nell’essere “civis romanus”, o come, durante la guerra fredda, l’orgoglio era nel sentirsi “ein Berliner”.Un’-educazione buona- che, come per il cittadino romano, sottintenda diritti e doveri e che, come per l’uomo di Berlino, abbatta concezioni autoritarie. Un comportamento basato su un’estetica del bello che reiventi l’essenziale. Pulizia del gesto, della parola, del sentimento, del comportamento, quindi pulizia delle forme. Poiché il gesto, sporco, è volgare. La parola, infangata, non narra. L’agire, violento, è scontro fine a se stesso. E così il rapporto d’amore diventa ricatto, la famiglia discarica, la comunicazione regime. La -comunicazione buona- scarnifica, toglie le incrostazioni dell’osceno, pulisce le forme, rinnova le linee, le reinventa. Impone lentezza, distacco, ironia, autodeterminazione. L’-educazione buona- è l’arte degenerata del nuovo millennio”.

    élites….

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    Viaggiando, superveloci in seconda classe. Rosso, argento, azzurro… non ricordo il colore, ma insomma su uno dei treni che sfrecciano che più veloci non si può tra una città e l’altra. E sentire, mentre il treno si allontana dalla stazione, una voce metallicamente cortese, che da un altoparlante pronuncia frasi… per dire che bene, che tutto è a posto, che presto si  arriverà ovunque si voglia arrivare, e che sul treno la pulizia è assicurata (perché non dovrebbe esserlo?), e che anzi si aggirano fra i vagoni addetti alle pulizie dei gabinetti, ai quali è (persino!?) possibile rivolgersi in caso qualcosa non vada esattamente come dovrebbe andare, a proposito di pulizia dei gabinetti, naturalmente. Sciccherie da treni di lusso, naturalmente… Ma poi accade, ancora, di essere questa volta sorpresi dalla stessa voce garbatamente metallica che dall’altoparlante annuncia, a tutti, che presto in prima classe i viaggiatori saranno confortati con caffé, cornetti, spumante… Esclusivamente quelli di prima classe, naturalmente. E che tutti gli altri lo sappiano, che la differenza di classe è differenza di classe… Ancora stupendosi, della volgarità ormai imperante che questi annunci ha dettato… dei solchi sempre più profondi, e più larghi, scavati a dividerci, e allontanarci, a colpi di monete, gabinetti e brioches…

    Donne, uomini… ancora

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    E ancora riflettendo, sull’appuntamento di oggi, segnalo l’articolo di Elena Loewenthal, su La Stampa, di ieri, che dà voce, con parole che la mia afasia non ha trovato, a una certa  perplessità all’idea di scendere in piazza sotto lo slogan “riprendiamoci la dignita’“. “Compromessa la dignità del premier, non la nostra”, il titolo dell’articolo, che invito a leggere tutto. Che sottolinea, fra l’altro, quanto sia la dignità del mondo maschile ad essere piuttosto offesa dal comportamento di chi ci governa. La domanda è chiara: Loro (gli uomini ndr) hanno per caso sentito l’impulso di prendere le distanze da quel modello di maschio lì? Ci hanno forse detto (…) che non sono tutti dei vecchi bavosi incapaci di amare o stabilire una relazione affettiva, e bisognosi invece di palpare parti intime femminili in quantità industriali, per sentire vivo il proprio corpo? (…) Quanto a noi donne, perché dovremmo sentirci in dovere di dimostrare che non siamo tutte così, come quelle? … Insomma, pensandoci un pò. Pensando, fra l’altro, al fatto che nessuna delle signorine che si presta al gioco di chi momentaneamente ci governa, e/o insegue un proprio gioco, credo pensi di porsi e imporsi come modello per le italiane… lavorano, evidentemente, per sé, esclusivamente per sé. E’ piuttosto il nostro capo del governo che continuamente proclama e declama di rappresentare tutti i maschi italiani. E, guardandosi un pò intorno, c’è davvero da inquietarsi un bel pò… C’è davvero da cercare di ragionare sul motivo primo che, mi sembra, informi il comportamento (osceno? che non ci appartiene?) delle signorine che offrono il proprio corpo al banchetto del re, ma anche di tutta la corte pronta a offrire a quello stesso banchetto quel che ha, quel che può… Motivo primo che non è altro che il denaro. E un modello di ricchezza da ostentare, da raggiungere immediata e senza remore… Che tutto sembra giustificare. Madre, questa, davvero, di tutte le oscenità…

    Donne, uomini…

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    A proposito di donne, a proposito di uomini, a proposito di relazioni pericolose, a proposito di corpi e mercimonio e della spaventosa cultura che ci viene propinata tutti i giorni, a proposito della manifestazione di oggi, in piazza per chiedersi cosa stia mai succedendo, cosa è mai già successo, per dire in qualche modo “basta!”, una riflessione di Daniela Morandini.

    “La storie fra uomini e donne si consumano per mancanza di trama. Gli inglesi direbbero -plot-. Per noi è più consono parlare di quell’intreccio che forma un tessuto, uno straccio, un damasco, una vela. Nei primi dieci anni del nuovo millennio, i fili di uomini e donne sono diventati cavi che non collegano. Non creano neanche cortocircuiti. All’interno di questi cavi corre un flusso di immagini seriali. All’esterno c’è una guaina isolante di proiezioni maschili, precostituite, ripetute all’infinito con l’assenso femminile. E’ un flusso che passa attraverso il tatto, ma è privo di contatto. Non ha né trama, né narrazione. Per Lighea, la sirena, un umanista rigoroso si gettò negli abissi. Per un angelo azzurro, un professore illustre sprofondò nella follia. Per l’acrobata di un circo un altro angelo scelse la terra. Sono storie antiche e moderne di uomini e di donne. Storie di libri, storie di cinema. Storie di ordinaria follia, destrutturate, ricostruite, inventate, falsificate, depravate anche, ma sempre storie. Perché senza trama, tra uomini e donne, non c’è narrazione. Né tessuto per uno straccio o per una vela”.

    pensiero di metà febbraio… leggendo…

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    “(…) Perché l’uomo crede che le sue decisioni e i suoi propositi abbiano un vasto e molteplice campo d’azione, mentre in realtà non fanno che oscillare fra fuga e nostalgia, e ogni fuga e ogni brama concerne pur sempre la morte”. Pensiero di metà febbraio, leggendo I sonnambuli, di Hermann Broch, dal volume terzo, Huguenau o il realismo (ed. Mimesis)

     

    Bonifiche…

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    A proposito, ancora, di parole. Una notizia di ieri. Riporto, dall’Ansa. “E’ stato smantellato questa mattina dagli agenti della polizia municipale l’insediamento abusivo a Roma, in via Appia Nuova, dove ieri sera è scoppiato un incendio nel quale sono morti quattro bimbi rom. Gli altri, una ventina, sono stati invece portati un una struttura di accoglienza del Comune. Altre bonifiche e sgomberi potrebbero avvenire gia’ da domani o dai prossimi giorni”.  Altre bonifiche…. bonifica… quanto stride, questa parola, quanto fa paura, anche, nella sua burocratica ferocia. Invito a sfogliare un vocabolario. O magari a scorrere Wikipedia, che si fa più in fretta. Dove bonifica è: in idraulica, intervento riferito a territorio paludoso e malsano; in edilizia, operazioni che portano a rimuovere materiali  inquinanti esistenti nell’edificio; nei suoli, procedimento di eliminazione degli inquinanti da un sito contaminato…  Sempre da Wikipedia: bonifica, in metallurgia, è l’insieme della tempra e del rinvenimento eseguito ad alta temperatura sull’acciaio, che quindi è detto bonificato… E quanto fa paura, nella sua ilare “levita’”, qualcuno che ho sentito ironizzare su chi, appunto contestando questo termine, “pretende” l’uso di termini più politicamente corretti… Ma le parole non vengono mai pronunciate per caso. Le parole sono esattamente quello che indicano. Ed esprimono esattamente quello che abbiamo nel più profondo profondo dell’animo… e ci fanno scoprire, oggi, pieni di burocratica ferocia…

    La moneta vivente

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    Una riflessione, articolo, racconto di Daniela Morandini… a proposito di colori che mancano, di corpi che perdono l’anima ( e forse di anime che perdono il corpo), di corpi che diventano moneta… guardandosi un pò attorno, in questi tempi osceni…

    “Smarriti i colori della dialettica, i primi dieci anni del nuovo millennio trasformano sempre più i rapporti umani in rapporti di produzione. Dissolta l’individualità nella rappresentazione di un presunto se stesso, resta la bruta forza lavoro. La persona, spinta verso il basso dalla realtà globale, perde identità, e quindi diritti, doveri, e capacità di pensiero. E’ un processo iniziato già nel secolo scorso, che ora, con una accelerazione esponenziale, trasforma uomini e donne in monadi fluorescenti, destinate alla produzione esibita. L’estetica del bello ( o del brutto, o della sottrazione) è sconfitta dall’osceno. Così l’individuo, espropriato del privato, esibisce una parvenza di sé, scenografica, seriale e anaffettiva. Sia che si tratti di una nascita, sia di una morte, sia di un distacco, sia di un qualsiasi altro evento emotivo. La persona diventa così non più solo merce di scambio, come avveniva nel secolo scorso, ma trasforma essa stessa in moneta vivente. (…)